Gambino, il Don Chisciotte che sfida i potenti del Coni

Cinquantacinque anni, a Treviso per amore, presidente della Federcricket a febbraio correrà per la poltronissima lasciata libera da Gianni Petrucci
Di Antonio Frigo

TREVISO. Il papà Antonio, grande firma dell'Espresso (molti ricordano il suo “Taccuino internazionale”), era un intellettuale. Lui, invece, ha fatto del cricket mestiere, scienza e ragione di vita. Ma lui assomiglia al ramo materno ed ebreo della famiglia, al nonno Julius Weitzner, ingegnere chimico americano, diventato uno dei maggiori antiquari di Londra, appassionato del cricket, uomo di calcolo e “scienza”. È uno strano e composito personaggio Simone Gambino, 55 anni, giornalista, anche, trapiantato a Ponte di Piave per amore di Noemi, presidente della federazione italiana cricket. Magari sembra uno scherzo, ma è in corsa per la presidenza del Coni, ovvero per la successione a Petrucci, che verrà decretata nel febbraio del prossimo anno. In corsa? Si fa per dire, visto che i giochi sono già fatti: Petrucci, vistosi sfilare di sotto il tappeto di Roma 2020 (non si fa, cosa vuoi presiedere?) in nome di cui avrebbe mollato la poltronissima Coni, ha già il certo successore in Pagnozzi, il quale a sua volta ha già cooptato il presidente parolimpico Pancalli (era in corsa, ma ha ripiegato in cambio della conferma a segretario generale) e non ha certo paura dei maneggi romani di Giovanni Malagò, padre di tutti i pasticci acquatici di Roma 2009, ex enfant gatè del generone capitolino.

Gambino è uno che un giorno dovette decidere se spendere 300 milioni per essere eletto alla Camera o per “inventare” il cricket italiano. Avete già capito che optò per la seconda. Ed ora è abbastanza folle da correre per la poltronissima Coni, giusto per marcare la differenza tra la sua e l'altrui concezione dello sport, ma certo non pensa di vincere. «Eppure», dice, «giusto qualche ora fa mi ha telefonato Malagò. Vuole vedermi, chiede: quando passi per Roma, che ci parliamo? I voti delle 19 cosiddette discipline sportive associate non sono tantissimi, ma rappresentano il 5% , a fronte di finanziamenti complessivi pari all'1%. Io queste discipline le rappresento. E rappresento anche il fronte del 49%, quello di coloro che vogliono che i finanziamenti Coni non superino questa percentuale nel totale del budget di ogni federazione». Un Don Chisciotte o un furbone? Davvero non mollerebbe, in cambio di qualcosa? Davvero la candidatura non è già di per sé un investimento? Lui dice che non se ne parla, dice che per ora la sua è una posizione minoritaria, ma che la crisi gli darà una mano. Dice che l'Italia, in cui un tempo era il Totocalcio a finanziare tutto lo sport, è diventata un Paese dell'Est, con lo Stato e la politica a decidere delle sorti dei vari sport, gruppi sportivi militari inclusi. Lo Stato, anzi la politica. «È così che assistiamo all'insulto di caccia e pesca finanziate come e più delle discipline olimpiche. Per non parlare dei voti di cronometristi e medici sportivi. Non sono certo federazioni, al massimo servizi allo sport, ma i loro voti pesano come quelli di chi suda correndo», dice Gambino, che non ama naturalmente solo il cricket di cui è luminare a livello internazionale, ma anche altri sport. Il ciclismo, ad esempio, dove, al Giro d'Italia, scrive come seconda firma la gara per Tuttosport, ma anche tutte le discipline cosiddette minori e “povere”. «Il riallineamento sociale dell'Italia di questi tempi grami certamente aiuterà a cambiare la visione dello sport: meno assistenziale e più partecipe alla base. Meno pelosamente finanziato dalla politica con soldi pubblici e più capace di camminare con le proprie gambe senza passare per sensali vari. Così cambierà anche la cultura del vincere a ogni costo, che tanti disastri ha provocato, non ultimo il doping». Obiettivo finale? «Dieci voti e la possibiltà di portare queste teorie, minoritarie e poco gradite ai vertici, in consiglio Federale. Poi si vedrà...». Matto? Furbo? Fate vobis, tanto lui non ci fa molto caso.

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