Ko anche con la maglia del Centenario, è crisi nera

Quanto dovrebbero vergognarsi, i giocatori del Padova, per non aver onorato come si deve la gloriosa maglia del Centenario, sconfitti ieri dal Verona (0-1) nel primo dei tre derby veneti consecutivi del girone di ritorno? La risposta è implicita nella stessa domanda.
Fossimo in loro, il senso di disagio che proveremmo per ciò che (non) è stato fatto, a dispetto delle tante promesse formulate nei giorni scorsi, sarebbe enorme. Perchè si può anche essere estranei alla città e alla sua cultura - per luogo di nascita, legami con la propria terra, tradizioni - ma non si può prenderla in giro una volta che si accetta di farsi paladini di quello che, per i suoi appassionati di calcio, è quasi un oggetto sacro, da venerare come un totem.
“Profanare” la divisa del secolo nel modo peggiore, con una sconfitta figlia di una prestazione misera e insulsa, equivale ad un sacrilegio vero e proprio per chi al Padova è attaccato come ad un figlio, e vive e s’immedesima in esso con un amore che non ha uguali.
Questo è successo, purtroppo, all’Euganeo, apparso mai così lugubre, tetro e freddo a chi aveva sognato ben altro epilogo in una domenica apertasi nel segno della speranza e della fiducia, proprio perchè l’evento era di quelli da incorniciare: cucite addosso, i giocatori di casa avevano le maglie dei loro eroici antenati, indossate poi - negli anni Cinquanta - dai mitici “panzer” di Nereo Rocco.
Il momento è delicatissimo, per vari motivi: innanzitutto se è vero che i playoff sono ancora distanti due punti - il Novara ha perso, la Spal pareggiato, a conferma della mediocrità di questo torneo - è altrettanto assodato che dietro le altre si sono fatte sotto, per cui la zona playout è appena quattro lunghezze sotto. E forse sarebbe meglio preoccuparsi più di quanto avviene alle spalle che non delle prospettive, rimaste intatte nonostante due sconfitte di fila, che si aprono a ridosso dell’area-spareggi.
Ma Cestaro, il padrone del vapore, che tanto ha speso (e spende) per il suo “giocattolo”, adesso dovrebbe avere l’onestà di chiedere a sè stesso, prima ancora che agli altri, a che cosa sia servito mandare tutto all’aria dopo il pareggio con il Legnano di un mese fa. Ha preso Tesser giubilando Sabatini perchè, parole sue, «la squadra non andava, e giocava male».
Forse che quella vista nelle settimane successive è una versione migliore? A noi pare addirittura peggio, senza nè capo nè coda. Il bilancio è sconfortante, eppure si decide che indietro non si torna. Ci mancherebbe altro, guai a rimangiarsi le decisioni prese a metà gennaio, dopo aver cancellato in un sol colpo il progetto sposato in estate, portato avanti in autunno e avvalorato anche in occasione della sosta natalizia! Ne andrebbe della dignità e dell’integrità (d’immagine) del cavaliere.
Con Sabatini i giovani c’erano, e giocavano, mentre con Tesser sono spariti. Delle due l’una: o erano sopravvalutati prima, o sono stati “sacrificati” sull’altare di una logica che ci sfugge. Quanto al modulo, rimasto il 4-3-3, lascia perplessi la sua interpretazione, con manovre confuse e soluzioni offensive prevedibilissime. Come dire: non c’è un’idea nuova che sia una.
Infine, riferendoci alle pressioni di cui soffrirebbe il gruppo, non ci sembrava che fosse così a novembre e dicembre, quando si era in zona playoff. La realtà è che qui bisognerebbe “rifondare” tutto, addetti ai lavori compresi. Ma a Padova c’è qualcuno che abbia il coraggio di farlo?
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