La nuova vita di Bonetto jr «Sì, ho preso il patentino e ora faccio l’allenatore»

Di solito il percorso è opposto: l’allenatore si fa manager, accresce le proprie competenze fino a diventare presidente di un club.
Ma Edoardo Bonetto è un tipo abituato a stupire. E così dopo aver fatto risorgere il Padova dalle ceneri assieme a papà Roberto e a Bepi Bergamin, e aver ricoperto per cinque anni il ruolo di vice-presidente biancoscudato, il 36enne con un passato da calciatore in Serie C ha deciso di smettere la cravatta e indossare la tuta.
Pochi giorni prima di Natale, Bonetto junior ha completato con successo il corso Uefa D, ottenendo l’abilitazione ad allenare le formazioni giovanili e tutte le categorie dilettantistiche fino all’Eccellenza. E adesso aspetta solo la chiamata giusta per sedersi per la prima volta in panchina.
Bonetto, chi glie l’ha fatto fare?
«La passione. Era da anni che avrei voluto fare il corso, ancor prima di prendere il Padova. Il calcio mi manca, voglio continuare a viverlo e ho colto quest’opportunità per provare un’esperienza che mi ha sempre affascinato».
Ambizioni?
«Potrei allenare nei settori giovanili, ma mi sento più portato a guidare una prima squadra. Mi piacerebbe trovare una buona società in Eccellenza o in Promozione».
Modelli di riferimento?
«Penso a Rolando Maran che mi ha allenato quando giocavo a Cittadella trasmettendomi molte idee. In generale vorrei ispirarmi ai tecnici che fanno giocare sempre e comunque le proprie squadre. È un lavoro lungo e faticoso, perché buttare il pallone in avanti, senza costrutto, richiede uno sforzo fisico e mentale inferiore rispetto a quello necessario per cercare il movimento giusto e giocare palla a terra. Ma solo così si costruisce qualcosa di duraturo. In questo mi piace De Zerbi».
Difficile replicare tutto ciò nei campi di provincia. Pronto a sporcarsi le mani?
« In ogni lavoro bisogna partire dal basso. Non mi spaventa, mi manca tutto del calcio: la partita, lo spogliatoio, le chiacchiere a tavola».
L’uscita dal Padova è stato un trauma. Per questo non è più tornato all’Euganeo?
«La fine dell’avventura in biancoscudato è stata dolorosa, ho preferito allontanarmi totalmente. E allo stesso tempo ho colto l’occasione per iniziare ad aggiornarmi in vista di una panchina e sono andato a vedere alcune partite in serie minori per ritrovare vecchi amici».
Il Padova nemmeno in tv?
«Ho visto qualcosa. Mi sembra che il club abbia lavorato bene e sia in linea con le aspettative. Se la può giocare fino alla fine per la promozione».
Il ricordo più bello dei suoi 5 anni a Padova?
«La vittoria del campionato di Serie D. Grazie a un gruppo di giocatori che indossava la maglia con un orgoglio enorme, si era creato un entusiasmo mai più replicato, nemmeno quando abbiamo vinto la C con Bisoli».
È più forte la soddisfazione per i primi successi o il rimpianto per l’ultima stagione fallimentare?
«Sappiamo di aver fatto un bel percorso ma il rimpianto per la retrocessione resta e non vogliamo cercare alibi. I responsabili eravamo noi e abbiamo commesso errori».
E se dovesse ritornare all’Euganeo da allenatore?
«Non scherziamo. Il mio lavoro resta quello di immobiliarista, il calcio è una passione enorme che cercherò di coltivare la sera per divertimi e sviluppare qualche idea». —
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