La sua prima allenatrice «Il papà voleva il basket ma era una predestinata»



«Se ho guardato la finale? Ovvio, che domanda è? E non ho mai avuto dubbi sulla vittoria dell’Imoco, che era superiore in tutto e per tutto. E poi può contare su Paola». Fabiola Bellù è stata la prima allenatrice di Paola Egonu. La sua scopritrice, nel 2010. C’era lei ad attenderla nella palestra di Viale Venezia del Team Volley di Galliera, poco distante da dove la dodicenne che sarebbe diventata una stella della pallavolo viveva con la sua famiglia (i genitori Ambrose, camionista, ed Eunice, infermiera, il fratello e la sorella: da qualche anno hanno lasciato l’Italia per trasferirsi a Manchester, in Inghilterra). «Paola si è presentata in palestra un mese dopo l’inizio della stagione, seguendo le compagne di scuola», racconta Fabiola, che oggi allena a San Martino di Lupari. Fabiola o… “Fabi”? «Eh, mi chiamava così, “Fabi”. All’inizio non amava moltissimo la pallavolo, ma poi ha cambiato idea. Era tanto dotata quanto umile e determinata».

Determinata al punto da riuscire a far cambiare opinione al padre. Già, perché il suo futuro poteva essere nel basket e non sotto rete. «Un giorno all’uscita dalla palestra mi si avvicinò e mi chiese se potevo restare a parlare con il papà. Lui si presentò e mi disse che voleva portarla negli Stati Uniti, da parenti, perché avrebbe sfondato nel basket. Io gli ho risposto che non sono una maga, ma per quanto ne capivo Paola sarebbe arrivata senza troppi problemi in Serie A». Il fisico prometteva già bene. «In una delle prime partite si è lamentata perché, essendo più alta delle altre, la maglietta le stava corta. Così le ho detto: “È corta perché va di moda così”, e chissà se ci ha creduto. Comunque ha giocato lo stesso».

Poi sono arrivati i raduni. «In uno, al Centro Pavesi di Milano, era presente il Ct delle nazionali giovanili Mencarelli e si dice che il tecnico che la stava seguendo lo andò a chiamare dall’altra parte della palestra perché non credeva ai suoi occhi di fronte ai suoi salti al Vertec. Mencarelli arrivò e rimase sbalordito: la macchina indicava che aveva toccato i 336 centimetri. Tenete presente, per farvi un’idea, che i canestri del basket sono posti a 3,05 metri». Ma dove può migliorare ancora Paola? «Lei avrà sempre difficoltà sui palloni bassi proprio perché sfiora l’uno e 90, ma lavorandoci può migliorare anche lì. È già sul tetto del mondo, ma secondo me ha ancora margini di crescita. Il rischio che si monti la testa invece non esiste proprio: se c’è una ragazza con i piedi ben saldi a terra è lei».

Fabiola non sente Paola da un po’ di tempo. «So che ha cambiato numero e non ho quello nuovo. Ero andata a vederla al PalaVerde nella scorsa stagione, quando era venuta a giocare con Novara, ma prima della partita ovviamente si stava riscaldando e poi la sua squadra è ripartita subito e non abbiamo avuto modo di parlare. Però prima o poi capiterà di nuovo. E, comunque, io la seguo sempre». —



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