Le mille storie parallele di Italia-Portogallo: dopo 25 anni esatti, stesso stadio, stessa ora

VIAGGIO NEL TEMPO
STEFANO TAMBURINI
Stesso giorno, stessa ora, stesso stadio, stessi avversari, 25 anni dopo. Il cancello magico dell’Italia del calcio il prossimo 17 novembre si aprirà a San Siro, Milano, come il 17 novembre del 1993. Roberto Mancini affronterà ancora il Portogallo, ancora in panchina, allora come riserva, oggi come commissario tecnico.
Ed è l’unica cosa diversa fra allora e oggi, in palio c’è pur sempre una qualificazione, quella volta a un Mondiale, stavolta dalla fase finale di una competizione di minore impatto come la Nations League, primo passo per il riscatto da un disastro che lo stesso giorno del 1993 rischiammo seriamente di anticipare. Era un dentro o fuori, con Italia e Portogallo che si contendevano con la Svizzera due posti per il Mondiale 1994, quelli che poi avremmo chiuso perdendo ai rigori in finale con il Brasile.
Era un momento complesso per il nostro Paese, sulle prime pagine campeggiava la manovra finanziaria di governo, allora “mancavano” all’appello 2.160 miliardi di lire, un miliardo e 115 milioni di euro, che oggi con la rivalutazione sarebbero quasi due miliardi pieni, più o meno quello che mancava nei giorni scorsi durante le trattative fra Lega e M5S, le due anime del governo attuale.
SFIDE DECISIVE
Allora in campo ci bastava un pari, stavolta serve la vittoria e non si sa se sarà sufficiente, perché bisognerà attendere comunque l’ultima sfida del girone fra Portogallo e Polonia. E la Polonia un po’ c’era di mezzo anche allora, perché l’arbitro di quella sfida era Ryszard Wójcik.
Era comunque un momento “caldo” intorno all’italico pallone. Il ct era Arrigo Sacchi, arrivato dopo il fallimento della mancata qualificazione agli Europei del 1992 che si giocarono in Svezia, in casa della squadra che un anno fa ci ha buttato fuori dal Mondiale. Due scosse pesanti, allora un po’ meno, perché in fondo ai Mondiali di casa del 1990 eravamo arrivati terzi sia pure con la speranza di vincerli. Stavolta di Mondiali ne abbiamo falliti tre di seguito, due con pessime figure nel girone, l’ultimo costretti a viverlo da guardoni delle emozioni degli altri.
Anche nel 1993 sulle prime pagine dei giornali si parlava delle lungaggini della burocrazia (“In coda per venti giorni all’anno”), gli editori dei giornali chiedevano misure per difendersi dalla “minaccia” della tv in fatto di drenaggio di risorse, così come oggi chiedono più o meno le stesse cose per la “minaccia” dei big del web che rastrellano risorse utilizzando i contenuti di altri.
LE DUE CRISI DELLA POLITICA
Insomma, fra le due partite gemelle, molto è cambiato anche se tanto sembra sia rimasto come allora o si stia ripresentando sotto altre forme. Quello era l’anno in cui la Cecoslovacchia si divise in Repubblica Ceca e Slovacchia; ed era l’anno della scomparsa di Federico Fellini, degli arresti del “mostro di Firenze” Pietro Pacciani e del capomafia Totò Riina. Inoltre c’erano gli strascichi di Tangentopoli, con avvisi di garanzia e manette illustri. Erano i giorni delle monetine lanciate contro l’allora segretario del Partito socialista italiano, Bettino Craxi, davanti all’hotel Raphael di Roma. Craxi incarnava il simbolo di una politica arraffona e ladrona, la rabbia del popolo era più o meno quella dei Vaffa day degli ultimi tempi. Era insomma il preludio a una Seconda Repubblica che sembrava così “rivoluzionaria” da durare chissà quanto e adesso siamo già alla Terza e non si sa quanto resisterà. Era l’anno in cui spariva la Democrazia cristiana, il partito che era rimasto sempre al potere dal dopoguerra fino a quei giorni difficili: diventava Partito popolare e adesso non c’è più neanche quello. Era stata approvata anche una nuova legge elettorale, il Mattarellum, dal nome dell’allora ideatore Sergio Mattarella, oggi presidente della Repubblica. Legge utilizzata fino alle politiche del 2001. A Roma Francesco Rutelli aveva appena vinto le Comunali contro l’allora capo di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, postfascista fresco di sdoganamento da parte di Silvio Berlusconi che ancora non era il Berlusca politico ma stava per diventarlo.
NASCEVA L’EUROPA E OGGI...
In particolare in quel novembre, lunedì 1° novembre, con l’entrata in vigore del trattato di Maastricht nacque l’Unione Europea che cominciò a cancellare quelle frontiere che oggi molti vorrebbero rialzare rimettendo in discussione molto di quel percorso di unificazione. Martedì 9 in Bosnia fu abbattuto il ponte simbolo di Mostar. Gli equilibri dei Balcani erano ancora instabili come oggi lo sono in altre parti del mondo. Le turbolenze si sono solo spostate ma ci sono.
Insomma, la partita che si giocherà due volte nello stesso posto e nella stessa ora a distanza di 25 anni sembra la chiusura di un cerchio quasi perfetto di un Paese che si è avvitato su se stesso per tornare più o meno al punto di partenza. Non si sa se fuori dal campo eravamo messi peggio allora di oggi, di sicuro lo siamo in campo. Perché è vero che Roberto Mancini c’è ancora, ma 25 anni fa era una delle riserve d’oro di una squadra che in porta aveva Gianluca Pagliuca, in difesa Antonio Benarrivo, Paolo Maldini, Alessandro Costacurta e Franco Baresi; a centrocampo Giovanni Stroppa (poi sostituito da Demetrio Albertini), Roberto Donadoni e Dino Baggio; in attacco Pierluigi Casiraghi, Roberto Baggio e Beppe Signori, poi sostituito da Mancini al 76’, sette minuti prima del gol che ci toglieva dall’incubo del frittatone. Perché è vero che bastava un pari ma una rete dei portoghesi avrebbe cambiato la storia del nostro calcio con largo anticipo. Quindi, meglio mettersi avanti con un gol anti-infarto.
DINo, ROBERTO, DINOOO, GOOOLLL
La qualità degli azzurri di oggi non è neanche lontana parente di quella di allora. Ma un segno di continuità e di speranza arriva proprio dall’azione vincente partita dai piedi dell’attuale commissario tecnico: lancio in profondità per Dino Baggio che entra in area dalla fascia sinistra, passaggio a Roberto Baggio, il quale rilancia ancora la palla all’altro Baggio ed è gol. “Dino, Roberto, Dinooo, goooolll”, fu l’urlo di Bruno Pizzul in diretta tv.
I giocatori portoghesi, il cui gioiello emergente era Manuel Rui Costa, che l’anno dopo sarebbe sbarcato a Firenze, avevano tentato di mettere le mani avanti. «Non contiamo nulla, un Mondiale privo dell’Italia sarebbe una catastrofe, quindi...» disse Paulo Futre, il leader appena arrivato alla Reggiana e che due stagioni dopo sarebbe passato al Milan. Non accadde niente di strano ma aveva ragione lui, un Mondiale privo dell’Italia era inimmaginabile, allora. Oggi invece abbiamo purtroppo visto cosa è.
E il prossimo 17 novembre, dopo aver attraversato lo “stargate”, cancello magico di un immaginifico viaggio nel tempo, saremo di nuovo lì: stessa ora, stessi rivali, a giocarci qualcosa di importante. In campo e non solo. — BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
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