Pizzul: «Serata angosciante»

Se fosse un libro, il titolo sarebbe “La telecronaca più difficile della mia carriera”. Bruno Pizzul, quella sera, era la voce della Rai. 39 morti, immagini strazianti che la tv ovviamente censurò e...
Di Massimo Meroi

Se fosse un libro, il titolo sarebbe “La telecronaca più difficile della mia carriera”. Bruno Pizzul, quella sera, era la voce della Rai. 39 morti, immagini strazianti che la tv ovviamente censurò e il cronista chiamato a un compito improbo: quello di raccontare cercando di non accentuare i toni per non creare il panico tra chi aveva parenti o amici allo stadio.

Da dove partono i ricordi?

«Il ricordo è angoscioso dal punto di vista umano e professionale. Non è accettabile che per una partita ci possano essere tanti morti. Ho provato a rimuovere, poi mi rendo conto che non è giusto dimenticare perché certe tragedie devono essere monito e insegnamento».

Ma è davvero così?

«Purtroppo no. Dopo, mi aspettavo maggiore tolleranza, educazione e rispetto negli stadi. Invece gli striscioni tipo “uno, cento, mille Heysel” abbondarono, a dimostrazione che c’è una frangia violenta difficile da reprimere».

Veniva informato in tempo reale di ciò che accadeva?

«No, anzi. Il flusso delle notizie era lento e contraddittorio. Osservando la curva Z ci si rendeva conto che la situazione era critica ma non sapevamo delle vittime».

Quando veniste informati che c’erano dei morti?

«Poco prima dell’inizio della gara. Fino a quel momento avevo cercato di centellinare le notizie per non creare panico. Ero convinto che non si sarebbe giocato, a spingere furono le autorità belghe che non erano in grado di garantire lo sfollamento».

Ma si sarebbe potuto non giocare senza correre rischi?

«Non lo so. Posso dire che l’impreparazione delle forze dell’ordine fu evidente».

Il momento più difficile durante la telecronaca?

«Quando piombarono nella mia postazione un paio di ragazzi che mi chiesero se potevo rassicurare le loro famiglie in diretta tv. Non lo feci proprio per non creare ulteriore paura. Lì per lì si risentirono, poi qualche giorno dopo compresero e me ne parlarono».

Ha mai pensato di non fare la telecronaca?

«Sì, inizialmente pensai che sarebbe stata la cosa migliore mandare in onda immagini senza commento anche perché la partita non aveva significato. I giocatori all’inizio neanche andavano in contrasto. Il livello agonistico salì con il passare dei minuti».

Dopo la accusarono di non aver censurato abbastanza l’esultanza degi giocatori.

«Dissi che avrebbero potuto andare a deporre la coppa sotto il settore della tragedia, ma anche quella poi, ripensandoci, avrebbe potuto essere considerata una provocazione».

I colleghi inglesi?

«Dopo la gara andai negli Usa per un torneo premondiale e la prima gara era Italia-Inghilterra. C’era la fila per chiedere scusa».

I giocatori cosa le raccontarono?

«Mi limito a dire solo questo: ancora oggi alcuni juventini che erano in campo si rifiutano di parlare di quello che accadde quella sera».

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