«Sono io il topo Iena»

Gennaro Noviello, ultramaratoneta-fumetto
 
PADOVA.
Gennaro Noviello sembra un alieno: occhialoni avvolgenti, vestiti tecnicissimi da atleta doc. Sembra l'uomo che non deve chiedere mai. Poi parte una serie di racconti e dettagli e ti convinci che è una persona che fa cose fuori dell'ordinario: ultramaratone, imprese al limite dell' umano, sfide continue, un lavoro che mica lo tiene tranquillo e pure un fumetto per bambini.
 
Gennaro, questa passione per le ultramaratone...
 «Sì, per piacere e non per professionismo: le faccio per misurarmi con me stesso. A volte torno da una missione e vado alla prima ultramaratona disponibile. Preparazione? Tanta, ci vogliono dedizione e disciplina. Pensa che a volte programmo degli allenamenti notturni per preparare le tappe della notte. Di solito capita con la bici: io davanti e qualcuno in auto che mi scorta. Però queste cose le posso fare solo quando sono a casa: se sono in missione non riesco ad allenarmi, gli orari di lavoro sono molto dilatati».  
Quali i motivi di questo amore per l'impossibile?
 «Cerco di divertirmi e di esprimere quello che sono. A volte mi dicono che sono fin troppo estroverso, ma io sono fatto così. C'è tanta gente che si nasconde».  
Com'è nato Jena, il topo avventuroso di Geronimo Stilton?
 «E' nato durante la Cento chilometri del Sahara, nel 2003. C'era anche Elisabetta Adami, fondatrice delle Edizioni Piemme: di sera ci trovavamo fra runners in tenda e lei rimase così affascinata dai miei racconti, che decise di topizzarmi. Così nacque Iena, che ha il mio stesso nominativo radio. E' un topo che, come le iene, ha una concezione molto elevata del gruppo e dell'amicizia e vuole trascinare l'intellettuale Geronimo nelle sue avventure, ma soprattutto vuole aiutare i bambini».
 In che modo?
 «Ho rinunciato ai diritti dei libri, ogni avventura sostiene la fondazione Città della Speranza. Nel 2003 mio figlio Jonathan si è malato di leucemia ed è stato ricoverato in Oncoematologia pediatrica all'ospedale di Padova. Poi tutto è andato per il meglio perché è guarito, ma in quei momenti terribili mi sono più volte chiesto cosa potessi fare io per aiutare altri genitori e i loro figli malati. La Piemme ha sposato quest'idea e ora Geronimo e i suoi personaggi sono grandi amici della Città della Speranza. E' stato lì che mi sono ritrovato ad usare lo sport per evitare di cadere nella depressione che inevitabilmente ti travolge in un momento tremendamente duro».
 In quale modo?
 «Leonardo Beggio, il presidente della Padovanuoto Triathlon, mi ha invitato a provare questo sport formato da tre discipline: nuoto, bicicletta, corsa. Allenandomi, ho capito che la preparazione era un modo per mettermi l'armatura e combattere. Io non sono un atleta, sono una persona come tante, che si raffronta con le lunghissime distanze perché mi danno la possibilità di confrontarmi con me stesso».
 E i suoi figli che dicono?
 «Sono entusiasti, anche se poi mi danno del pazzo e mi chiedono chi me lo faccia fare. Io spiego loro, con il loro linguaggio, che le gare dello sport sono prove che poi aiutano anche ad affrontare le prove della vita. E qualche risultato già lo vedo: Nick è un appassionato di snowboard, lo vedo molto portato per lo sport. Jonathan invece è più artista, ha iniziato a suonare la batteria».

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