Zandegù, irriverente poeta del pedale che canta per Nibali

l cronoman iridato nel ’62 invitato dalla società che lo lanciò: «Quando consegnavo il latte in bicicletta per campare...»
Dino Zandegù
Dino Zandegù

RUBANO «Mi sembra di essere tornato ragazzino, quando per campare andavo in sella ad una pesante bicicletta da viaggio a consegnare il pane per le famiglie di Rubano». Dino Zandegù, corridore passista con doti anche da velocista ai tempi di campioni del pedale come Gimondi, Bitossi, Adorni, Poulidor e Merckx, domenica scorsa è stato l’ospite d’onore, con Marcello Bergamo, altro ex corridore professionista, della festa per i 60 anni dell’Unione sportiva Csi Rubano. Società in cui, da garzone di fornaio qual era, Dino Zandegù, che ora vive a Milano «non da poveraccio» come dice lui, ha imparato a gareggiare e a vincere. Attorno al mitico Dino, al Casale di Nonna Lui di Cervarese Santa Croce, si sono stretti il presidente del club ciclistico rubanese Vincenzo Traverso e numerosi dirigenti, i giovanissimi delle sette formazioni che hanno gareggiato quest’anno e gli amici dei sempre. «Alla Csi Rubano sono legato da un mare di ricordi di gioventù», ha confessato l’ex corridore. «Ai tempi in cui c’ero io, era molto vicino alla società il senatore Ferdinando De Marzi. Un uomo politico con i fiocchi, amante dello sport e dell’agricoltura. Nelle gare spesso sventolavano le bandiere della Coldiretti. Si correva per passione e per puro divertimento, non c’erano nè televisione nè discoteche».

Lasciata la Csi Rubano, dove vinse tutto quello che c’era da vincere nel settore giovanile, approdò tra i dilettanti, conquistando la medaglia d’oro nella cronometro a squadre ai Campionati del mondo su strada di Salò del 1962, nel quartetto con Mario Maino, Danilo Grassi e Pasquale Fabbri. Risultato che i quattro replicarono ai Giochi del Mediterraneo del 1963 nella 100 chilometri. Pochi mesi dopo Zandegù passò al professionismo con la Cynar di Balmamion. «Mi trovai a gareggiare con colossi del pedale come Gimondi, Bitossi, Adorni, Poulidor. Non era facile emergere e spesso dovevo accontentarmi delle briciole lasciate da questi campioni. Grazie alle mie doti di passista, ma anche di velocista, qualche corsa l’ho vinta, soprattutto con la maglia della Salvarani».
In quale corridore degli ultimi tempi si identifica?
«Direi in Mario Cipollini. Se ai miei tempi avessi avuto a disposizione il treno che tirava le volate, sicuramente avrei vinto molto di più. È comunque difficile fare paragoni, perché il mondo del ciclismo è molto cambiato. Sono cambiati i materiali, gli allenamenti e molto altro».
Il doping c’era allora?
«C’era, eccome! Forse le sostanze erano meno efficaci e meno pericolose di quelle di oggi, ma esistevano e i corridori ne facevano uso. Diciamo che fino al 1967 i controlli praticamente non esistevano. C’è voluta al Tour de France di quell’anno la morte sul Mont Ventoux dell’inglese Tommy Simpson perché iniziassero seriamente. Quella tragedia sotto il sole cocente, dovuta ad un cocktail di fatica e di anfetamine, gettò la prima ombra sul ciclismo».
Parliamo di cose più leggere. Lei divenne celebre anche per il suo comportamento scanzonato. La ricordiamo ad una tappa del Giro d’Italia con un naso ed un paio di occhiali da clown.
«Mi piaceva scherzare, lo facevo in certi momenti per sdrammatizzare l’ambiente. Quando c’era da fare sul serio, però, Dino Zandegù c’era. Questo mio modo di fare era apprezzato dai media, tanto che Sergio Zavoli mi invitava spesso al Processo alla tappa. Durante la corsa rosa ero diventato quasi un ospite fisso, nonostante in quel periodo fossi appena un neopro».
Ci risulta che la verve goliardica non l’abbia ancora persa.
«È vero. Quest’anno alla settima tappa del Tour de France mi hanno chiesto di cantare la canzone “Vieni al Tour” in onore di Vincenzo Nibali. Il risultato è stato che quella mia esibizione canora ha fatto un ascolto televisivo record, di ben 3,7 milioni di spettatori».
A proposito di Vincenzo Nibali, secondo lei è davvero un grande campione capace di riportare in auge in ciclismo italiano?
«È da un po’ che lo seguo. Secondo il mio parere, è un marziano. Un atleta capace di grandi imprese e lo ha dimostrato in più occasioni, non solo al Tour de France. Credo che farà parlare di se ancora per parecchio tempo. E questo non è che un bene per il ciclismo azzurro, che di un uomo come Nibali, in attesa che crescano altri campioni, speriamo qualcuno anche nella società di Rubano dove sono cresciuto io, ha davvero bisogno».
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