A Montegrotto si svela la villa dell’imperatore

di Paolo Coltro
MONTEGROTTO TERME
Duemila anni e trenta centimetri di terra: togliamoli entrambi e abbiamo una villa romana principesca, meglio dire imperiale. Fino a ieri da immaginare, e oggi da vedere in parte e da immaginare meglio. Siamo a Montegrotto, in via Neroniana, con la possibilità di calarci nei panni di un signore sconosciuto a noi, ma che all'epoca doveva essere conosciuto, potente, ricco e deciso. Siamo ai tempi di Tiberio, primi decenni del primo secolo dopo Cristo: fu imperatore dal 14 al 37, subito dopo Augusto. C’è la possibilità che questa villa compia duemila anni tondi tondi proprio nel momento in cui viene aperta al pubblico, il che avverrà il prossimo 11 luglio: se la riscoperta era già avvenuta, questa è una rinascita. E allora festeggiamo questo battesimo (pagano?) con un viaggio che si annuncia lunghissimo anche se si svolge in mille metri quadrati: quelli resi visibili di una parte della villa, ora protetti da un’elegante modernissima copertura, un lavoro fatto bene.
È stato solo l’ultimo: prima, ci sono gli scavi minuziosi durati dodici anni, l’entusiasmo di 350 studenti di archeologia che dal 2001 hanno lavorato nelle campagne di scavo. Fino al 2005, un mese l’anno, poi anche tre o quattro, con un impulso dato da Soprintendenza, Università, e anche il Comune di Montegrotto ha fatto la sua parte. Ci sono ragazzi che ovviamente si sono laureati nel frattempo, molti hanno fatto la tesi proprio su questi scavi. Altro che “quattro pietre”. Questa villa è stata una fonte diversa in un luogo di fonti d’acqua: insegnamento e apprendimento, nuove notizie storiche, allenamento scientifico, perfino palestra virtuosa per la collaborazione tra istituzioni che non sempre son fulmini di guerra.
Sono passati soprintendenti, così come docenti e studenti: ma grazie a loro la villa resta. Attenzione, è archeologia, i resti sono orizzontali e non verticali, i muri son caduti, la vita lì dentro è un’interpretazione della vita. Ma possibile e realistica. E allora entriamo.
Beh, non si sa esattamente da dove entrare: all’esterno un lungo muro chiude uno spazio rettangolare, grandissimo. Da qualche parte c’è un ingresso, ma non una facciata (per lo meno non la si è trovata): le case e le ville romane esplodono nella loro bellezza all’interno, da fuori custodiscono gelosamente la privacy. Poche o nessuna finestra, nel muro di cinta. Ma dentro... Dentro c'è uno spazio grandissimo, lo sviluppo della costruzione è stupefacente. Gli archeologi hanno calcolato tredicimila metri quadrati, e non è ancora tutto, perché un’ulteriore ala potrebbe essere sepolta un po’ più in là. Sono dimensioni imperiali, questa la speranza di chi ha scavato. Il buon Tiberio, che da queste parti è passato per consultare l’oracolo di Gerione e per andare in Illirico, aveva magari bisogno di cure termali? È diventato imperatore a 56 anni, a quell'età gli acciacchi si fanno sentire. E vabbè che Roma era zeppa di terme, ma quelle che Plinio il Vecchio (un po’ più tardi) definisce “Patavinorum aquae” sono famose da centinaia d'anni. “Pubblica tregua dei mali, aiuto comune dei medici, divinità sempre presente,. salute non comperata”: così ne parla Claudiano ancora nel IV secolo dopo Cristo, quando serpeggiava la decadenza del mondo romano.
Ma nel primo secolo è fulgore, anche nel Venetorum angulus, anche nel municipium Patavii cui questa terra è assegnata. Le terme funzionano, e bene; le campagne sono coltivate; gli scambi commerciali intensi, le strade costruite dai romani ben tenute. Ci sono romani che arrivano, non più a colonizzare, ma a risiedere; ci sono locali romanizzati che impiantano aziende, di laterizi, per esempio. Ci sono romani che arrivano per le loro competenze. Non per caso, l’architetto di questa villa. «Molto probabilmente è arrivato da Roma o dall’Italia centrale», dice Marianna Bressan, archeologa, prima Università ora Soprintendenza, che spiega tutto: è il filo di Marianna che porta nella villa. Il modello è proprio quello delle ville dell’Italia centrale, per chi aveva soldi. Grandeur romana d’esportazione, senza badare a spese. Immaginatevi: una costruzione con un corpo principale, un insieme di 24 stanze, un rettangolo nel rettangolo arricchito da due avancorpi con colonnati; colonne anche lungo la facciata e all’interno nell’ambiente principale. Davanti, un giardino per arrivare ad un secondo corpo, una cinquantina di metri più in là, perfettamente in asse. In questo secondo corpo, altri quindici o venti vani. E non è finita: oltre il secondo corpo, a chiudere la proprietà, un’esedra semicircolare che si specchiava in una fontana circolare. Dietro il corpo principale, probabilmente un altro corpo simmetrico al secondo. Si sono rilevate tracce, ma si deve ancora scavare, è su un terreno privato. Tutto l’insieme è più lungo di uno stadio, nel senso di misura romana. Uno stadio sono 185 metri, qui siamo sul doppio. Che villa!
Il ricco signore (veneto? romano? l’imperatore?) la voleva proprio lì. Non gli è interessato nulla che il terreno fosse paludoso, che l’argilla appena trenta centimetri sotto terra trattenesse l’acqua. Ha fatto portare terra, ha bonificato e ha cominciato a costruire. Maestranze locali, materiali in gran parte locali con qualche tocco di finesse d’importazione, anche alcune idee risparmiose (allora forse era un veneto...): le colonne hanno base in pietra ma sono di mattoni e poi intonacate. In fondo, magnificenza a parte, doveva essere una casa di vacanza. Se dell’imperatore, una seconda, terza, decima casa.Sicuramente una “villa d'ozio”, un luogo dove star bene, di rappresentanza anche. Chi l’ha costruita l’ha voluta lì perché a due passi c'era una importante fonte termale: per quello non se l’è fatta in casa, gli bastava attraversare la strada. Infatti: per accedere oggi alla villa, si entra dall’ingresso dell’Hotel Terme Neroniane, nel cui sottosuolo sono stati trovati e valorizzati i resti di un importante complesso termale. Che funzionava alla grande, quando la villa viveva in tutto il suo splendore. Evidentemente la fonte preesisteva, e sarebbe affascinante ipotizzare relazioni tra la villa e la costruzione di terme così imponenti.
Ma torniamo al cantiere, dove l’architetto romano dirige muratori e scalpellini locali. Arrivati al grezzo, si passa alle decorazioni, e nella villa entra il gusto: mosaici e dipinti. I primi li vediamo, i secondi sono spezzettati nelle particelle di intonaco rinvenute: ma basta per dire che erano belli. I mosaici sono di fine fattura: tessere piccolissime, bianche e nere, un lavoro di una minuzia estrema. In alcuni dei pavimenti, tarsie di marmo, o di ardesia, per un effetto decorativo nel contempo sobrio ed elegantissimo. Riceveva, il proprietario, in un grande salone centrale, ma anche le due stanze vicine erano di grandi dimensioni. In un angolo, il mosaico è annerito: era appoggiato un braciere.
Si diceva: l’interpretazione della vita. Ma basta vedere questi ambienti per averne una chiara visione. Le presenze (il padrone, la famiglia, i servitori, gli ospiti) li immaginiamo. Ma non abbiamo un nome, un’iscrizione, un altarino con una parola, niente. Perché? Perché non c'è stato alcun evento traumatico a fermare e “fissare” l’esistenza della villa e dei suoi abitanti. Il complesso, nei secoli, è decaduto piano piano, gli ultimi se ne sono andati portandosi via oggetti, suppellettili, mobili. Finita per consunzione, ecco com’è andata per la villa senza nome. Qualche indizio resta illuminante: per esempio quei piedini di triclinio in agata nera: una pietra che qui non c’è, viene dall’India, e gli archeologi ne stanno seguendo le tracce. Nessun segno, invece, di attività produttive: la villa era veramente di sola splendida residenza. Poi arrivano i tempi cupi. La villa è un rudere, ma è ancora in piedi: nel V, VI secolo ci appoggiano i pali di sostegno delle capanne di un villaggetto. Più tardi, verso il Mille, la buttano giù, sparisce sotto trenta centimetri di terra, una generazione dopo nessuno sa che c’era. Piantano i pali per nuove capanne, senza saperlo bucano i mosaici... nell’ex giardino sorge un edificio in muratura, per il capo del villaggio che pure era povere case.
Quei trenta centimetri di terra sono stati la maschera del tempo fino al 1986. Un campo, un aratro che incontra un ostacolo (era il massetto dei pavimenti romani) e la villa salta fuori. Salta fuori? Si saggia e si ricopre tutto, non ci sono soldi. Ma intanto il terreno viene acquisito al demanio, che è un passo importante. Nel 2001 si comincia seriamente, e la storia adesso la sapete. La grande villa romana privata è diventata pubblica, l’amore di chi l'ha costruita è trasmigrato in chi l'ha fatta resuscitare. L’11 luglio è il giorno ufficiale, abbiamo aspettato duemila anni.
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