Addio a cda e insegne Ecco come il Veneto perderà le sue banche

Cessione di ramo d’azienda con 2.200 esuberi volontari Mion: «Non so nulla, aspettiamo le indicazioni del Mef»
PADOVA. «Dimentichiamoci l’insegna Popolare di Vicenza e Veneto banca» afferma
tranchant
una fonte autorevole. «Per qualche tempo si chiameranno giuridicamente “Nuova Banca Popolare di Vicenza” e “Nuova Veneto Banca”, poi verranno assorbite». La nuova vita delle due ex popolari venete dovrebbe iniziare lunedì 26 giugno con la definizione del decreto legge che il governo ha pubblicato venerdì scorso in fretta e furia per congelare il bond di Veneto banca.


Secondo quanto ci risulta, si procederebbe per «acquisizione di attività». Una sorta di liquidazione ordinata con cessione di ramo d’azienda. L’azionista Fondo Atlante venderebbe le “nuove” ex popolari, ovvero le good bank, a Banca Intesa a 1 euro. Lo schema, insomma, andrebbe a ricalcare quanto già accaduto post risoluzione di Etruria, Marche, Carichieti e Ferrara.


Intesa lascerebbe alle sue spalle Banca Nuova e Apulia, per le quali pare ci sia un fondo pronto a rilevarle, Bim già scorporata dal perimetro di Veneto Banca, la partecipazione di Arca e le banche estere. E tutto ciò di cui non ha bisogno, per essere semplici e immediati.


Intesa - rimasta sola in partita dopo l’uscita di Iccrea nella serata di martedì 20 e anche quella di Bnl verificatasi proprio alla mezzanotte dello stesso giorno - avrebbe già ampiamente valutato tutte le sovrapposizioni delle filiali ed è ipotizzabile che andrà a chiudere gli sportelli più costosi e meno redditizi: che non è detto che siano quelli di Vicenza o Montebelluna. Anzi. Stando a questa ricognizione, molte filiali soprattutto di Bpvi sarebbero ben e strategicamente posizionate. Il business è qui. Ma ci sono anche gli esuberi: si stimano 2.200 al netto delle cessioni.


In questa partita, tra le condizioni chieste da Ca’ de Sass, ci sarebbe un decreto del ministero per rimpinguare il fondo esuberi con uno stanziamento ad hoc ma anche la probabile riapertura del piano industriale di Intesa Sanpaolo per i nuovi pre-pensionamenti. E difatti, Ca’ de Sass ha confermato ieri, tra le righe, anche l’intenzione di salvaguardare il profilo occupazionale di Popolare di Vicenza e Veneto Banca. «Solo uscite volontarie» è la voce che si è udita dai corridoi milanesi della grande banca.


«È un’operazione troppo buona per essere vera» hanno commentato a caldo gli analisti di Mediobanca. Innanzitutto, va chiarito fin da subito che, sull’intero impianto, pende ancora il rischio di uno stop dell’ Ue, visto che sarebbe lo stato, ovvero i contribuenti, a farsi carico del costo miliardario della bad bank con la creazione di un veicolo ad hoc per la gestione e poi la vendita dei deteriorati.


Il meccanismo l’abbiamo già vissuto con Cariferrara, Etruria, CariChieti e Banca Marche. Le ultime tre, diventate “Nuove” sono state rilevate da Ubi a gennaio 2017 a 1 euro dal Fondo nazionale di risoluzione. L’offerta prevedeva, prima del closing, la cessione delle sofferenze ma Ubi ha poi fatto un aumento di capitale da 400 milioni (scenario che oggi Intesa esclude). Non solo, perché le tre banche “vendute” a Ubi, dovevano presentare «almeno 1.010 milioni di patrimonio netto contabile». «La domanda è: Intesa comprerà la “Nuova Bpvi” e la “Nuova Veneto Banca” patrimonializzate o no? - chiede il docente dell’Università di Padova Francesco Zen - se queste due banche insieme hanno 30 miliardi di crediti in bonis, diciamo 20 post pulizia delle posizioni probabili, servono almeno 2 miliardi di patrimonio dentro queste nuove banche. Chi li mette?». «Non sono in grado di valutare la proposta - ha detto ieri il presidente Bpvi Gianni Mion - ne prendo atto e aspettiamo indicazioni del Mef che è il nostro interlocutore».


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