Zamperini (Unipd): «La zona rossa mortifica i quartieri e i suoi abitanti»

Il docente del Bo dirige il master in Sicurezza urbana e contrasto alla violenza: «Si rischia l’effetto opposto: rioni stigmatizzati come pericolosi. Se non c’è vita c’è paura, evitare provvedimenti che privino la città di presenza umana»

Rocco Currado
Un presidio di polizia in stazione durante la zona rossa (foto Bianchi)
Un presidio di polizia in stazione durante la zona rossa (foto Bianchi)

Adriano Zamperini, professore universitario di Psicologia della violenza, del disagio sociale e relazioni interpersonali, lei è direttore del master in Sicurezza urbana e contrasto alla violenza del Bo, e quindi: zona rossa sì o zona rossa no?

«Bisogna capire anzitutto la finalità di questi provvedimenti, che in molti casi non è chiara. Credo che una città come Padova, che ha un’ottima gestione della sicurezza da parte di diverse forze, non ne abbia bisogno».

Perché?

«Si tratta di non ragionare secondo onde emotive e spinte emergenziali. La letteratura ci dice che i problemi di convivenza e sicurezza urbana vanno affrontati con un passo da maratoneta, una politica di ampio respiro: provvedimenti ben articolati e integrati nel territorio. Quello della zona rossa da molti punti di vista si è piegato a presunte emergenze, temporanee, molto episodiche, per cui non ha la capacità di incidere concretamente sul problema».

Adriano Zamperini
Adriano Zamperini

La scelta di tenerla per tre mesi in stazione e non prorogarla, bensì di spostarla in un’altra area va nel senso opposto a quello che dice.

«Già. Si possono impiegare determinati dispositivi per situazioni di emergenza, ma la zona rossa non è uno strumento che permette di garantire sicurezza urbana prolungata e sostenibile nel tempo».

In base a cosa lo dice?

«Non ci sono dati che dimostrino l’efficacia della misura. La città non va macchiata di zone di interdizione, va aiutata a crescere e mantenere sempre alto il livello di sicurezza. E non con provvedimenti muscolari, perché la sicurezza non è un momento, è la base della vita e riguarda un intero tessuto del territorio. Mi ripeto: bisogna agire in modo preventivo, sostenibile, con un passo lungo nel tempo e soprattutto non seguendo l’umore del momento».

A cosa può portare un provvedimento del genere?

«Si vuole stabilire la sicurezza e si rischia l’opposto: che queste aree diventino stigmatizzate come pericolose, di creare una percezione sociale che le associ al pericolo».

Quale alternativa?

«Non ci sono ricette che vadano bene per tutte le città o quartieri, chi lo dice propone una facile soluzione. Ogni ricetta deve tener conto delle caratteristiche specifiche di un territorio».

Non mi ha risposto.

«Me ne rendo conto, ma insegno proprio a diffidare dalle risposte preconfezionate. Bisogna studiare e valutare attentamente le situazioni, in dialogo anche con i vari attori di una città: è un lavoro faticoso, lo so, ma è l’unico modo per garantire un senso di sicurezza che duri nel tempo».

Per l’amministrazione è preferibile riqualificare aree considerate “difficili” trasformandole in punti di aggregazione, come fatto per i Giardini dell’arena. È d’accordo?

«Sicuramente non c’è sicurezza in assenza di esseri umani. Se non c’è vita c’è paura, dobbiamo lavorare affinché la città non sia desertificata e quindi evitare provvedimenti che la ingessino e la privino di presenza umana. Questo non vuol dire non essere attenti a tutti gli strumenti che possano aiutare a garantire la sicurezza dei cittadini».

La zona rossa è naturalmente divenuta terreno di scontro politico. Non crede che posizioni ideologiche allontanino la risoluzione dei problemi?

«Il tema è molto sensibile e può essere piegato in un senso o nell’altro, ma io non sto nel mondo dell’opinione: la scienza è apartitica e non sono interessato alle questioni politiche. Come studioso mi baso sui dati per cercare di aiutare la mia città a far sì che possa sviluppare competenze che saranno impiegate a garantire la sicurezza dei cittadini. Preparo gli studenti a affrontare le trasformazioni in atto».

Quanto è importante coinvolgere tutti gli attori (l’amministrazione e anche l’ateneo) nella pianificazione di strategie per la sicurezza?

«La letteratura scientifica è chiara: i progetti di sicurezza urbana partecipata che sappiano coinvolgere i cittadini sono quelli destinati a offrire i risultati migliori e più duraturi».

A Padova è stato così?

«Non so dirle quali attori sociali siano stati coinvolti; comunque, come studioso ritengo che iniziative come la zona rossa, a prescindere da chi e come viene coinvolto, rischiano di mortificare interi quartieri e i suoi abitanti».

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