“Anime nere” di un destino segnato

di Marco Contino
Un pezzo d’Italia dimenticato dallo Stato, legato ai rituali arcaici e violenti della ’ndrangheta. Francesco Munzi, il regista di “Anime nere”, porta Africo e la Calabria più profonda fuori dalle cronache giudiziarie e giornalistiche e le catapulta in un racconto cinematografico sospeso tra western e tragedia greca. La porta davanti agli occhi del mondo: selezionato in concorso a Venezia71, dopo la Mostra il film sarà anche a Toronto. E per il primo film italiano in concorso al Lido in Sala Grande è ovazione: dieci lunghissimi minuti di applausi, un’accoglienza emozionata e travolgente.
«Il mio film parla di criminalità, di faide, di agguati, di una realtà ancora troppo lontana da quella ufficiale e istituzionale. Ma il cuore dell’opera è rappresentato dalla guerra familiare che squarcia e dissolve i legami fraterni in una Locride selvaggia dove si allevano le capre e si contano i soldi del traffico di droga». L’ambientazione è uno degli elementi portanti del film. «Avevo molti pregiudizi e paure, temevo che gli abitanti di Africo ci guardassero con sospetto. Invece ho scoperto un luogo aperto e curioso pur nella sua ambiguità e diffidenza verso lo Stato. Abbiamo lavorato senza alcun tipo di censura, con tranquillità, pur mettendo in scena una storia di ’ndrangheta. Contrariamente a quello che si può pensare o alle voci che circolano sulle imprese produttive al sud, non abbiamo pagato nessun pizzo».
L’ambiente non è poco, in questo film: Fabrizio Ferracane che interpreta il ruolo di Luciano, raccontato che è stato un mese e mezzo tra le capre in montagna per immedesimarsi nel ruolo, e imparare il dialetto, da siciliano ha dovuto parlare calabrese.
“Anime nere” è ispirato all’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco, sebbene il regista lo abbia rielaborato in chiave più familiare e contemporanea. «Ho spostato la vicenda del libro dagli anni ’70 ai giorni nostri e i tre amici del romanzo sono diventati tre fratelli». È un universo dominato dagli uomini ma non solo. Anzi: «Le donne sono anime più nere degli uomini» ammette una delle attrici, Anna Ferruzzo «perché preservano il passato e segnano il destino tragico della famiglia». Il finale del film è cupo, di tragica ineluttabilità. Ma, avverte Munzi, «ha anche una carica eversiva enorme perché rompe gli schemi del male. A suo modo è un epilogo catartico».
E a suo modo è rivoluzionario è l’appello lanciato dal giovane protagonista Giuseppe Fumo, che ai suoi coetanei calabresi lancia un messaggio forte: «Non c’è futuro con la mafia. So che non c’è lavoro al sud, ma costruitevi un avvenire senza ’ndrangheta».
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