Bonsembiante: «Il mondo è cambiato, cambia anche il cinema. Set più leggeri e attenzione alle maestranze»

Una frenata improvvisa. Come davanti a un passaggio a livello le cui sbarre si sono chiuse nel momento più brillante, di grande creatività.
Il produttore padovano Francesco Bonsembiante con la sua Jolefilm (il polo di produzione teatrale, televisiva e cinematografica che ha da poco festeggiato i 20 anni di attività) usa questa metafora per descrivere l’arresto subito dall’industria dello spettacolo a causa dell’emergenza sanitaria.
Bonsembiante, anche il treno delle produzioni venete si è fermato sul più bello?
«Proprio così. Stavamo viaggiando con il vento in poppa con tre progetti importanti che ora, purtroppo, sono sospesi. In primo luogo, il nuovo spettacolo teatrale di Marco Paolini – Filo Filò – che avrebbe dovuto debuttare in Friuli ad aprile. Poi il nuovo film di Andrea Segre – Welcome Venice – sulle conseguenze del turismo di massa a Venezia le cui riprese alla Giudecca sono state fermate e, forse, riprenderanno ad ottobre. E, infine, il progetto di Diego Scano – Mi casa es tu casa –, un documentario di osservazione che racconta le vite disperate dei venezuelani che tutti i giorni attraversano il ponte che li collega alla Colombia per cercare lavoro o per studiare. Una storia di accoglienza e solidarietà che fotografa il viaggio drammatico di quasi 70 mila persone che ogni giorno attraversano quel ponte. Quando è scoppiata la pandemia ci siamo dovuti fermare, con grande preoccupazione anche per i colleghi italiani rimasti bloccati in Colombia per qualche settimana. Purtroppo, siamo solo a metà del racconto: speriamo di ritornare presto per ultimare un lavoro visivamente molto potente».
Quando si potrà ripartire?
«Il nostro settore è stato forse quello più penalizzato. Il primo a chiudere e l’ultimo a riprendere. Anche dopo le palestre. Del resto, la nostra è una attività che, per natura, è promiscua: sul set possono gravitare anche 100 persone nello stesso ambiente. Ora, oltre alle procedure che sono già state messe a punto per evitare assembramenti, ci vorrà anche molto senso di responsabilità da parte di produttori e di autori per semplificare il lavoro, magari evitando scene di massa. Adesso però, il vero problema che rallenta la ripartenza è di natura assicurativa. Nessuna società, in questo momento, è disposta ad assicurare la lavorazione di un film tanto che Netflix si è dovuta comprare una compagnia di assicurazioni».
Difficoltà tecniche ma anche costi ulteriori da affrontare.
«Esattamente. Abbiamo calcolato che per realizzare un film, è necessario il 20% in più di giornate lavorative, con conseguente incremento delle spese che si aggiungono a quelle per i presidi sanitari, per esempio i tamponi a cui dovremmo sottoporre tutti, dalle comparse al regista, a scadenze ravvicinate. Alla fine, un film costerà almeno un 10-15% in più di quanto originariamente preventivato e il disagio maggiore ovviamente sarà sopportato dai piccoli produttori indipendenti».
Le maestranze, però, se la passano anche peggio.
«Nel mondo dello spettacolo il livello di precarietà si è palesato in tutta la sua drammaticità. Oggi centinaia di migliaia di persone sono senza lavoro, senza ammortizzatori sociali. Di questa situazione nessuno parla, sembra non ci sia coscienza di come il settore delle maestranze si stia impoverendo.Sull’argomento, anche alla cerimonia dei David di Donatello, si è persa una grande occasione. Io non avrei mai realizzato i miei film senza l’apporto di tutti coloro che lavorano nel cinema: durante la premiazione si è persa la grande occasione di far parlare le maestranze, di ascoltare i loro appelli. Non basta un video promozionale di pochi minuti. Se penso a come è stato liquidato il premio per il miglior documentario allo straordinario “Selfie” di Agostino Ferrente provo vergogna».
Come si riparte allora?
«Innanzitutto, deve esserci una presa di coscienza immediata: è cambiato il mondo e allora noi dobbiamo cambiare approccio. I testi scritti per il cinema devono considerare questi mutamenti. Andrea Segre racconterà il fenomeno del turismo a Venezia ma è chiaro che, dopo quello che è successo, il punto di vista non sarà più lo stesso. È necessario riadattare le storie, adeguarsi ad una realtà che oggi è profondamente diversa. Quanto ai tecnici e alle maestranze, dobbiamo essere solidali proprio con quelle persone che fino a ieri hanno lavorato con noi. Per questo Jolefilm sta pensando a progetti più leggeri ma anche più efficienti per tornare a coinvolgere il maggior numero di persone possibile. Incentiveremo la realizzazione di documentari ma stiamo approfondendo anche alcune nuove idee sul piano delle serie televisive. Quanto al teatro siamo ottimisti sul fatto che qualche spettacolo estivo potrà essere programmato nonostante non sia così conveniente dal punto di vista imprenditoriale».
Il nuovo bando della Regione Veneto per il sostegno della produzione cinematografica in scadenza il prossimo 15 giugno e la nomina di Jacopo Chessa come direttore della Fondazione Veneto Film Commission sono segnali incoraggianti?
«Assolutamente. In un momento di paralisi la possibilità di accedere ai finanziamenti della Film Commission è importante. Dovremmo correre per avere le carte in regola per la domanda ma dal punto di vista istituzionale è un passo importante dopo tanta attesa».
La Mostra del Cinema di Venezia sarebbe un altro tassello fondamentale per far ripartire l’industria. Al di là delle dichiarazioni di rito, pensa che sia possibile organizzare il Festival a settembre?
«Personalmente sono entusiasta di questa possibilità. Non posso esprimermi sull’organizzazione ma credo che celebrare la Mostra del Cinema sia sacrosanto e veicoli un messaggio importante anche a livello internazionale: il cinema c’è e va sostenuto. A dirla tutta, penso che possa essere una grande occasione: meno star e più contenuti; uno spazio maggiore per gli approfondimenti, il mercato e i cinefili. Non è detto che una versione più light sia un ripiego e il cinema italiano avrebbe molte carte da giocarsi».
Avreste qualche titolo pronto per la Mostra?
«Siamo un po’ in ritardo ma la speranza sarebbe quella di ultimare “Una banca popolare” di Alessandro Rossetto, che proprio in questi giorni vive la grande soddisfazione di vedere il suo ultimo film “Effetto domino” nella programmazione del prestigioso Brooklyn Film Festival, e di terminare il montaggio di “The last ride of the wolves” dell’esordiente Alberto De Michele, ambientato nel mondo dei giostrai».
Ma, alla fine, la gente, avrà voglia di tornare al cinema?
«A questa domanda non posso rispondere io. Ma neppure il distributore o l’esercente. Sarà il pubblico a decidere se fidarsi o meno. La gente ha ancora paura: il nostro compito sarà quello di far capire che si può andare al cinema in sicurezza e che in sala ci saranno prodotti di qualità. Noi lavoriamo per questo». —
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