Breda, la prescrizione “salva” l’ex segretario e direttore Cibin

Era l’ultimo imputato dell’inchiesta: processo “congelato” per motivi di salute Ma è passato troppo tempo per l’azione penale e il tribunale lo ha prosciolto
CARRAI - CONFERENZA FONDAZIONE BREDA. CARRAI - CONFERENZA FONDAZIONE BREDA.
CARRAI - CONFERENZA FONDAZIONE BREDA. CARRAI - CONFERENZA FONDAZIONE BREDA.



Dal 2008 il suo conto con la giustizia era sospeso in quanto era stata dichiarata l’«assoluta incompatibilità ad affrontare il processo» per le sue condizioni di salute. Così di anno in anno si è arrivati a ieri quando al tribunale di Padova non è rimasto che pronunciare l’assoluzione di Michelangelo Cibin, 69enne di Treviso (già direttore del Gris di Mogliano) ex segretario-direttore della fondazione Breda, ora in liquidazione.

Il motivo? Intervenuta prescrizione quanto a sei contestazioni come richiesto dal suo difensore, la penalista Paola Rubini. Resta fuori un settimo capo d’accusa che sarà prescritto il prossimo marzo: il proscioglimento è solo rinviato all’udienza già fissata per il prossimo 28 aprile. Si chiuderà così anche l’ultimo strascico dell’inchiesta per la svendita del patrimonio della storica fondazione Breda, ente morale creato nel 1905 dal politico-finatropo Stefano Vincenzo Breda per la comunità padovana con sede a Ponte di Brenta, lasciata affogare in un mare di debiti. Fondazione che gestiva l'ospizio e un grande patrimonio immobiliare, con l'ippodromo Padovanelle.



Cibin era stato chiamato a rispondere di sette capi d’accusa per i reati di abuso d’ufficio, corruzione, falso ideologico, turbativa d’asta e peculato. Secondo la procura di Padova l’ex amministratore della Breda (in concorso con altri) sarebbe stato il regista di una serie di operazioni che avrebbero portato alla vendita sottocosto di alcuni beni dell’ente.

Qualche esempio? Nel marzo 2003 la Breda avrebbe svenduto un'area di oltre 32 mila metri quadrati a un’impresa di costruzioni per 3.150.000 euro contro un valore del terreno di almeno 4 milioni di euro destinata a fruttare alcune tangenti; ancora, nel marzo 2005 altra operazione sospetta con un imprenditore che si era aggiudicato un lotto di terreni di 66.082 metri quadrati, sempre a Limena, valutati 10.069.882 euro, pagati con le quote societarie dell'immobiliare Vi-Ovest, società gravata da un pesante mutuo e proprietaria di due stabili da ristrutturare. La Breda, infine, avrebbe acquistato in project financing un centro cottura dalla gastronomia Salvò dell'imprenditore Federico Caporello e quest'ultimo avrebbe ripagato Cibin-padre con quote occulte di una sua società, intestandole al figlio Liviano. Insomma affari sporchi e in odor di mazzette



Il caso esplode il 27 marzo 2008 quando su ordine dell’allora pm Paolo Luca (ora capo della procura di Belluno) scattano gli arresti per il segretario-direttore della fondazione Cibin, il consigliere Sergio Scalisi con delega agli appalti e l’imprenditore Federico Caporello, mentre in sei finiscono indagati in stato di libertà. Nell’aprile 2012 la sentenza di primo grado infligge condanne pesanti, ma il verdetto è ribaltato dai giudici d’appello che assolveranno l’ex amministratore Scalisi e l’impresario Caporello (rispettivamente 6 anni in e 5 anni e 8 mesi in primo grado) non ritenendo utilizzabili le dichiarazioni di un testimone: quest’ultimo era stato sentito senza difensore che gli spettava in quanto avrebbe dovuto essere indagato. La sentenza è stata confermata in Cassazione. La conseguenza? Nessun saccheggio della fondazione. E nessun illecito. Il 6 luglio 2010 Cibin era già uscito di scena dal processo di primo grado dopo una perizia firmata da un medico legale e ordinata dal tribunale. Perizia secondo la quale l’imputato «già operato di valvuloplastica ... e affetto da fibrillazione....», non era in grado di stare a processo. Ora la prescrizione ha chiuso (quasi) il caso. —



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