Compra un ristorante ma non può aprire perché non ha le fognature
Pensava di aver concluso un buon affare con l’acquisto del ristorante “Jiu Zhou” in via Valeri 29, per il quale da tempo lavorava come cuoco, ben sapendo che quasi ogni giorni c’era il “tutto...

Pensava di aver concluso un buon affare con l’acquisto del ristorante “Jiu Zhou” in via Valeri 29, per il quale da tempo lavorava come cuoco, ben sapendo che quasi ogni giorni c’era il “tutto esaurito”. Invece poco dopo ha scoperto di essere stato raggirato: l’attività di ristorazione era di fatto bloccata perché la gestione non risultava autorizzata da Acegas-Aps a scaricare le acque reflue nella rete fognaria. Di più: qualche settimana più tardi è arrivata un’altra sorpresa. Il Comune aveva già avviato la procedura per sospendere l’attività, un bel guaio per chi gestisce un esercizio in centro dove le “licenze” risultano contingentate e, una volta persa una “concessione”, recuperarla risulta molto difficile. Insomma una beffa, oltre al danno, parzialmente arginata perché, grazie a un ricorso proposto davanti al tribunale di Padova, il ristoratore 43enne cinese ha ottenuto un provvedimento di sequestro conservativo di 30 cambiali da 1.500 euro l’una, di una cambiale da 2 mila euro e di un assegno da 15 mila euro rilasciate dalla controparte (Xiaoqing Chen, ex titolare della società Kanasi che gestiva il locale, anche lui cinese). Un provvedimento, firmato dal giudice civile Giovanni Amenduni, eseguito ieri mattina nella filiale Mps in piazzale Stazione a cura del legale che tutela l’acquirente, l’avvocato padovano Luca Voltan. Per il prossimo 4 settembre è stata fissata l’udienza per la conferma del sequestro; intanto la parte offesa ha avviato una causa civile per recuperare non solo la restituzione del prezzo pagato ma pure per vedersi riconosciuto il risarcimento dei danni.
È il 12 giugno scorso quando viene firmato l’atto di rogito nello studio del notaio Marcon. Il prezzo pattuito? Ben 60 mila euro di cui 10 mila versati subito, altri 50 mila in 33 rate mensili da 1.500 euro decorrenti dal luglio scorso, l’ultima delle quali di 2 mila. È stabilito pure che la somma sia garantita dalle 33 cambiali date al venditore, mentre un assegno del valore di 15 mila euro garantisce l’acquisto della merce che si trova nel locale.
Tutto liscio, almeno all’apparenza. Il compratore, soddisfatto, ottiene le chiavi convinto di poter subito far ripartire l’attività. Doccia fredda quasi immediata quando, il 15 giugno, trasmette in Comune la cosiddetta Scia (segnalazione certificata di inizio attività): il 27 l’Usl comunica che la parte venditrice non aveva ottenuto l’autorizzazione allo scarico nella rete fognaria. E due giorni più tardi il Comune comunica la sospensione dell’attività di ristorazione, spiegando che la ditta venditrice era già stata informata dell’avvio della procedura per la sospensione dell’attività di ristorazione. Eppure nell’atto di compravendita era indicata «la conformità dell’attività esercitata alle norme vigenti». Nessuna giustificazione dal venditore che, nel frattempo, è volato in Cina. Per fortuna, cambiali e assegni non erano ancora stati incassati. E, grazie al sequestro, si è salvato il salvabile.
Cristina Genesin
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