Da cinquant’anni le scarpe per ballare si chiamano Paoul

I festeggiamenti dell’azienda di Saonara, leader mondiale «Vogliamo sfondare nel settore di lusso, nozze e gala» 


Quando vuoi acquistare il timbro con cui marchiare il tuo prodotto ma non hai budget, puoi solo sperare di trovare qualcosa, usato, che faccia al caso tuo, anche se già metti in preventivo che ti dovrai un po’ adattare. Poco, molto poco si è dovuto adeguare il signor Paolo Pizzocaro, fondatore del calzaturificio Paoul, quando acquistò il timbro Raoul. Gli bastò togliere la gambetta alla R, per avere un marchio quasi sartoriale. Una sorta di benedizione del fato, l’avrebbero interpretata gli antichi oracoli. Una coincidenza sorprendente per l’azienda saonarese che compie mezzo secolo di vita e che ha festeggiato con una settimana di eventi vari e per lo più aperti al pubblico terminata proprio ieri.


Paoul, che è una delle prime cinque aziende al mondo del settore calzature da ballo, ha pronta la sua evoluzione: «Per il futuro», racconta Katia Pizzocaro, una delle due figlie di Paolo e responsabile marketing, «puntiamo a mantenere la nostra identità nel settore ballo, restando fra i migliori, e contemporaneamente vogliamo elevarci nel settore moda lusso, in particolare di wedding e gala, una nicchia difficile perché è più vasta del ballo e occupata da molti competitor, ma anche per questo molto stimolante».


Trenta addetti, un solo stabilimento di mille metri quadrati nella zona industriale di Villatora di Saonara (via Emilia Romagna 12) in cui si fa tutto, dal disegno al confezionamento; un negozio monomarca a Padova, in via Turazza 1; un museo (in via Vigonovese 459) e una rete di rivenditori in Italia e nel mondo: questo è Paoul.


«Oggi realizziamo circa cento paia di scarpe al giorno», aggiunge la manager, «molto meno rispetto alle 250 di una decina di anni fa, quando abbiamo caratterizzato il nostro prodotto con una forte personalizzazione e pezzi singoli, che adesso funzionano tantissimo».


Due milioni di euro il fatturato annuo equamente diviso fra Italia e estero (al primo posto Europa con Germania e Francia, poi Usa, Canada, Cina), che deriva per il 75 per cento dai rivenditori, e per il 25 per cento dal monomarca, dalla vendita diretta del cliente che telefona in azienda, dall’e-commerce.


«Abbiamo risentito anche noi della crisi, ma come famiglia, per indole e ispirazione, non siamo orientati verso i grandi volumi, pertanto il nostro interesse era mantenere la produzione nel nostro stabilimento e continuare a lavorare con cura e passione, senza rinunciare alla qualità. Abbiamo un mercato che apprezza tutto questo, la creatività e l’arte che mettiamo in ogni calzatura. Certo, questo ci ha portati a perdere tutta la clientela orientata al prezzo, ma quando raccontiamo cosa c’è dentro a queste scarpe (ad esempio aprendo l’azienda al pubblico), raccogliamo sempre grandi consensi. Cerchiamo con cura fornitori certificati che non utilizzino materie tossiche e usiamo il più possibile colle ad acqua. Sono tutte attenzioni per la salvaguardia di chi lavora e di chi poi indosserà queste calzature».


Quattro anni fa è mancato Paolo e l’azienda è passata in toto alla conduzione della moglie Teresa e delle figlie Katia e Cinzia: cos’è cambiato? «Il periodo della sua malattia è stato il più difficile perché noi sorelle ci siamo trovate da sole in azienda (mamma accudiva papà): è stato difficile sentirsi non protette, in prima linea. Poi c’è stata una lunga fase di analisi di tutto, durata due anni: dal disegno, allo stampo, alla lavorazione. Cinzia, oggi stilista, ha iniziato da subito a proporre le sue collezioni, mentre io mi occupavo della parte finanziaria, in particolare dei costi. Quando abbiamo avuto tutto chiaro, abbiamo ridato vitalità all’azienda cercando di darle una nuova immagine e valorizzando un prodotto che era già bellissimo, ma che doveva essere spiegato e capito. Il restyling del marchio, i nuovi cataloghi, le campagne di marketing, hanno dato a Paoul un nuovo volto e se sono venuti a festeggiarci anche i rappresentanti delle grandi riviste di moda del mondo è anche grazie a tutto questo e agli insegnamenti che abbiamo appreso da nostro padre».


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