Ergastolano filosofo si laurea con lode «Ero analfabeta»

«La commissione, considerato il curriculum degli studi da lei compiuto e valutata la tesi di laurea, attribuisce alla prova finale la votazione di 110 su 110 con la lode. Per l’autorità conferitami dal magnifico rettore la proclamo dottore magistrale in Scienze filosofiche». Applausi. Il relatore, Giovanni Catapano, docente di Storia della filosofia medioevale, stringe la mano al laureato e così gli altri quattro della commissione.
Normale. Ma nemmeno poi tanto considerando che il neo dottore in questione, Ciro Ferrara, 58 anni, campano di Casoria, un ergastolo sulle spalle, in carcere da sei lustri, i suoi studi li ha iniziati 15 anni fa, da semianalfabeta, e li ha terminati ieri con una tesi su Sant’Agostino.
«Fino a 42 anni firmavo con una croce», racconta Ferrara «A me non piaceva studiare. Al Due Palazzi ho incontrato insegnanti che mi hanno aiutato, e che non smetto di ringraziare. Ricordo che dopo la maturità non volevo più fare nulla. Basta libri. Poi una prof mi guarda e mi fa: “Vuoi veramente restare un somaro? ”. Me la sono legata al dito, quella frase, in senso buono, mi ha punto sull’orgoglio, e mi sono iscritto a Filosofia». Prima la triennale, sempre con il massimo dei voti, e ieri la magistrale cum laude. La cella di Ciro, gran mattatore con la sua parlata napoletana svelta e colorita ma di indole molto solitaria, è stipata da pile di libri. Lui, nello studio ha trovato un’àncora: «Adesso la mia vita passa per lo studio, non so stare senza libri. Studiare mi ha modificato dentro».
Ore 11 e passa. L’auditorium della sezione scolastica della casa di pena Due Palazzi, quello con i manifesti di vecchi film dipinti sui muri da detenuti, è in versione aula universitaria: i gradoni sono a metà occupati dai volontari dell’associazione Piccoli Passi che hanno fatto rete attorno allo speciale studente, rinfresco finale, corona di lauro e regalo compresi; c’è Lorena Orazi, responsabile dell’area educativa ed è arrivato Ottavio Casarano, che dell’istituto era direttore prima di Claudio Mazzei, e che ha sostenuto il percorso di studi di Ferrara; c’erano l’emozionatissima educatrice Annamaria Morandin e Nunzio, Lorenzo e Filippo, i tre universitari che hanno fatto da tutor al collega, detenuto senza possibilità di permessi: gli hanno fatto avere i programmi, gli appunti, svolto la parte burocratica, reperito i libri e via. È consolidata (dal 2003) la presenza del Bo al Due Palazzi, con tanto di inaugurazione dell’anno accademico, un paio di settimane fa, alla presenza del rettore Rosario Rizzuto; l’ateneo segue, con tutor e docenti, 42 studenti: finora si sono laureati in 30.
La discussione sulla tesi entra nel vivo: dopo un avvio a voce impercettibile e parole aggrovigliate, la trattazione decolla: l’argomento è più che specifico, da veri topi-filosofi di biblioteca. Non direttamente Sant’Agostino, che ormai ne disquisiscono anche al bar, ma una tesi su padre Agostino Trapè, teologo, morto nel 1987, eccelso agostinologo. E giù un profluvio di platonismo, aristotelismo, San Tommaso e Sant’Agostino, il principio della mutabilità e dell’immutabilità, l’essere partecipante e l’assere partecipato e via elucubrando. Seduto sui gradoni, ad anticipare a bassa voce parole e concetti, c’è Attilio Favero, docente di inglese in pensione, volontario, che ha seguito il “suo” studente negli studi universitari, due volte alla settimana a leggere, ripassare, ascoltare, ragionare. «Mi ha dato la possibilità di creare un rapporto affettivo attraverso il canale culturale. Quello che ho fatto tutta la vita», spiega. Ormai Ciro Ferrara («di certo il mio laureando più motivato e studioso» confessa il professor Catapano) ha preso l’abbrivio e tra mimica, eloquio, verve napoletana e motti di spirito strappa anche qualche risata alla commissione. Il che, parlando di Sant’Agostino, non è propriamente scontato. È passata un’ora, la discussione volge al termine: la correlatrice, Maria Grazia Crepaldi, docente di storia della filosofia tardo antica, si congratula anche perché trattasi del primo studio in assoluto su Trapè. Proclamazione, strette di mano, corona e poi il neo dottore si rivolge ai convenuti per ringraziare, «con il cuore e la testa». Un grazie ad ognuno ché assieme hanno contribuito a un’impresa che va oltre la laurea: parla di condizione umana, di quando cambiare se stessi diventa l’unica chance di vita. E arrivano le parole della gratitudine: agli agenti di custodia, in particolare al responsabile del settore scuola, che gli hanno facilitato la vita; a don Pozza, il cappellano, che gli ha permesso di mettersi in chiesa a studiare («che effetto, ci entravo in punta di piedi»); al professor Tucciardone della scuola interna del Cpia; a Paolo Piva suo ex prof del Gramsci sempre al Due Palazzi; al direttore Mazzei, a Giorgio Ronconi, ex docente e volontario. Ma l’elenco continua.
E adesso, dottor Ferrara? «A me piace stare solo e studiare, sto pensando di scrivere un libro e stabilire contatti con la Cattedra Agostiniana a Roma. E magari un’altra laurea». Verrebbe da immaginare un incarico di tutoraggio per gli altri studenti del carcere, magari di promotore interno della scuola onde coinvolgere di più la popolazione carceraria. Un ruolo inedito per la verità, ma chissà.
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