Femminicidio di Abano, la cintura del delitto in aula ma Erik Zorzi rifiuta di provarla

L’imputato: «Nicoleta aveva tentato tre volte il suicidio. Mi registrava, avrei dovuto denunciarla»

Cristina Genesin
L’imputato Erik Zorzi in un corridoio del tribunale di Padova prima dell’udienza
L’imputato Erik Zorzi in un corridoio del tribunale di Padova prima dell’udienza

La cintura del delitto è arrivata in aula. Ed Erik Zorzi, il camionista 43enne di Abano accusato di aver assassinato l’ormai ex moglie Nicoleta Rotaru, 37enne di origine moldava trovata nel box doccia con quella cintura intorno al collo a simulare un suicidio (è sempre la pubblica accusa), si è rifiutato di indossarla per verificare se possa appartenergli.

Poco importa. Di fronte alla presidente della Corte d’assise, Domenica Gambardella, sono state messe a confronto due cinture: quella del delitto, con un capello nero e lungo della vittima, e quella dell’imputato.

Il risultato? Lunghezza pressoché identica, il che potrebbe significare che si tratta di un accessorio compatibile con uno di quelli appartenenti a Zorzi che nega la proprietà di quel capo d’abbigliamento («Era di Nicoleta») e continua a sostenere il suicidio della coniuge.

Non a caso Zorzi ha insistito nel descrivere Nicoleta come una donna priva di equilibrio e dedita all’alcol, nonostante i file audio da lei stessa registrati tramite un’app del cellulare a confermare la violenza domestica di cui era vittima.

«Ha fatto un gran casino, io volevo solo mettere ordine alla nostra vita... Disse ai carabinieri di aver paura che avessi un’arma... A sua madre che temeva facessi saltare in aria la casa con le bombole del gas e le bambine dentro... Con lei a volte dicevo delle cose provocatorie per farla parlare, volevo capire come gestire la separazione, pensavo che potevamo farcela... Negli audio si sente che strilla ma sono strilli pretestuosi per esacerbare la discussione. Contro di lei, non ho mai alzato un dito. Anche perché se alzavo una mano, lei me ne metteva addosso dieci. La cassa di legna che sosteneva le avevo scagliato addosso? Durante una discussione, le avevo dato un calcio, era scivolata e finita contro il suo stinco. Non si era fatta niente, poi scoprii che era andata al Pronto soccorso».

Insomma lui la vittima, lei la carnefice che un giorno «un po’ brilla alle 11 di sera si era messa a pulire il fotovoltaico fumando alla finestra e si era procurata un bernoccolo salvo dire che glielo avevo fatto io».

E la minaccia con un coltello? Zorzi ha raccontato che Nicoleta avrebbe tentato tre volte il suicidio, lei che – secondo tutti i testimoni fino a oggi sentiti – amava la vita e soprattutto le sue due bambine con le quali progettava una vita lontana dalla violenza del marito: «Una prima volta si mise a cavalcioni sul balcone di casa; una seconda volta ingoiò farmaci poi si mise il dito in bocca per vomitare; infine con il coltello fece il gesto di tagliarsi le vene e io le presi la mano puntandolo alla mia gola dicendo “schizza qua”... Aveva questi momenti di colpo».

Nel 2022 Nicoleta abortì: «L’accompagnai in clinica... Alcuni giorni dopo era in lacrime mai io non l’ho costretta. Anzi, avevo telefonato al consultorio e mi dissero “l’uomo non decide”».

Nicoleta, invece, era terrorizzata Erik secondo la pubblica accusa (i pm Maria D’Arpa e Marco Brusegan) come i legali di parte civile (Roberta Cerchiaro e Tatiana Vija per la famiglia Rotaru, Michele Camolese per le figlie minori, Aurora D’Agostino per il Centro antiviolenza).

Una paura che, dal 2018, l’aveva spinta a registrare ogni lite con il marito, compresa la notte dell’omicidio.

Erik si giustifica: «A metà dell’estate 2022 ho scoperto che mi registrava. Non capisco perché lo facesse, non mi rispondeva». Poi la ricostruzione della notte della tragedia, il 2 agosto 2023 nell’abitazione della coppia Monteortone, ad Abano in via Rocca Pendice, prima di fronte alle domande della difesa (i legali Cesare Vanzetti e Silvia Masiero) poi della pubblica accusa; «Ero rincasato verso mezzanotte, lei era a letto, mi sono seduto accanto e l’ho abbracciata da dietro per un approccio sessuale. Nicoleta ha urlato».

Per l’ennesima volta ieri è stato risentito l’audio terrificante che registra l’agonia di una donna e il monologo di Erik che avrebbe poco alla volta stretto il collo dell’ex moglie secondo la procura. Un colpo al cuore per tutti i presenti compresa la mamma della vittima, uscita tra i singhiozzi. Ecco la “lettura” di Erik: lei lo avrebbe respinto e lui avrebbe pronunciato quel lungo monologo per disturbarle il sonno. E i rumori di sottofondo che confermerebbero il trascinamento del corpo in bagno (con la porta risultata chiusa dall’interno) per inscenare il suicidio? «Il cane aveva sporcato e ho pulito il materasso asciugato poi con il phon, ho trascinato un mastello con il bucato, poi sono uscito e mi sono preoccupato, una volta a casa, notando che Nicoleta era chiusa in bagno senza il cellulare. Allora ho chiamato il 118». Insomma, sostenendo tutto e il contrario di tutto, Erik abbozza una spiegazione sempre e comunque anche quando attribuisce alle donne moldave la qualifica di «p... di strada» tra bestemmie e minacce in uno dei tanti audio, molti dei quali – a suo dire – artefatti. E ha concluso: «Avrei dovuto denunciarla io perché mi stava registrando per configurare qualcos’altro».

La pm D’Arpa ha ricordato che Zorzi era stato ricoverato diversi anni fa per una psicosi paranoide psicotica acuta e nel 2004 aveva patteggiato a Trieste per il furto di un’auto e la guida in stato di ebbrezza.

Prossima udienza l’11 giugno.

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