I giovani ladri di Hollywood

Sofia Coppola si misura ancora una volta con il peso della celebrità: lo stesso che, da figlia d’arte, deve averla schiacciata prima ancora di nascere, all’ombra di padri (Francis Ford), fratelli (Roman) e cugini (Nicolas Cage) ingombranti. Che sia la popolarità crepuscolare e attonita di “Lost in translation”, o la gabbia dorata dalla quale fugge il protagonista di “Somewhere”, o ancora, il modello inseguito a tutti i costi dalla pop-generation, come nel suo ultimo “Bling ring”, la celebrità è alienazione, repellente e conturbante allo stesso tempo, quasi sempre un ostacolo alla libertà, quando, addirittura, non è causa di veri e propri atti criminosi. Come è accaduto realmente a quattro ragazze ed un ragazzo delle hills di Los Angeles, cresciuti a Facebook e griffe di moda, arrestati e condannati perché sorpresi a rubare nelle ville delle celebrities di Hollywood, razziando, con diabolica noncuranza e ingenua recidività, capi di moda, Rolex, borse e gioielli per vivere da vicino il mito della fama, usurpandone i simboli materiali da indossare ed esibire, in uno scriteriato miscuglio di orgoglio e dileggio. Partendo da questo spunto di cronaca e dall’articolo di Nancy Jo Sales (The suspect wore Louboutins, apparso su Vanity Fair), Sofia Coppola fotografa la deriva di una generazione orfana di riferimenti (non solo gli adulti sono del tutto assenti, ma la madre di Nicki, la ladra interpretata da una spregiudicata e sensuale Emma Watson, è una specie di hippie che prega in cerchio al mattino e porta alle figlie l’esempio caritatevole di Angelina Jolie), che vive per ve(n)dersi, costantemente connessa al web, dove per esistere bisogna necessariamente apparire. Come quelle star (da Paris Hilton e Lindsay Lohan), pedinate giorno e notte da una tv vorace e onnipresente e da una rete che alimenta i sogni di emulazione, li amplifica e, infine, “arma” simbolicamente la mano dei giovani ladri fornendo loro le informazioni sugli spostamenti delle celebrità di turno, per poterle depredare della personalità prima ancora che dei beni materiali. Lo stile (mix di web cam, immagini notturne da telecamere a circuito chiuso, frame psichedelici, slow motion) è coerente con il soggetto “teen” che Sofia Coppola vuole immortalare, senza peraltro alcun intento sociologico di denuncia né di inchiesta, ma i contenuti non vanno oltre l’affresco, non troppo originale, di una realtà effimera che è il naturale sotto-prodotto di una cultura dell’immagine spinta fino al suo limite, in cui non si vive la propria, ma la vita degli altri.
Durata: 95’. Voto: **.
Marco Contino
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