Iron man morto, parla il fratello: «Ho cercato di rianimarlo»

CITTADELLA. «La verità è che sempre più, ora dopo ora, mi rendo conto che Enrico non chiamerà e non tornerà, mai più». Sono le parole che dicono tutto del dolore più grande, e le sussurra Elisa Tonin, la moglie di Enrico Busatto, il 43enne “uomo d’acciaio” di Cittadella, l’atleta e imprenditore in grado di conciliare tutto: il lavoro, lo sport, e una famiglia bellissima, la moglie - la sua prima tifosa e sostenitrice - e i tre figli.
Negli istanti che hanno seguito la tragedia di martedì mattina Elisa, le due ragazze, il figlio più piccolo, hanno avuto la resistenza e la forza di quel grande padre, abbracciavano parenti e amici, erano in piedi di fronte alla fatica terribile. «Ma più le ore passano, più sto male. Enrico non tornerà. Ed ora c’è tanto vuoto, tanta disperazione, si prova rifiuto per un destino così impossibile da sopportare».
Elisa è passata in obitorio, anche ieri, per ridare un ultimo sguardo a quell’uomo che tutti avvertivano così forte e in grado di trascinare, con uno sguardo buono, positivo, appassionato. Lo sente ancora vicino, con il suo sorriso, pieno di serenità, e la sua bellezza. «Più passano le ore più ti rendi conto della verità e dentro di te cresce quella cosa: che sai non tornerà, non chiamerà».
Lui che partiva, che girava il mondo, che inseguiva i suoi sogni di sportivo e di uomo, alla ricerca del limite, ma che poi tornava, sempre, a Pozzetto: ai suoi cari, alla sua Elisa sposata 16 anni fa, alle sue bimbe e al suo ragazzo che crescevano.
Ieri a mezzogiorno è stata anche effettuata l’autopsia; la famiglia ha dato il consenso alla donazione degli organi. Con ogni probabilità il funerale verrà celebrato sabato mattina nella chiesa di Pozzetto.
A cercare di salvare disperatamente Enrico è stato il fratello Ernesto, insieme seguivano l’attività di famiglia, l’Antico Legno. «C’erano anche i dipendenti, abbiamo cercato di rianimare mio fratello», racconta Ernesto, «gli ho praticato le manovre di primo soccorso, il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca».

A trovarlo era stato un operaio, arrivando in azienda; si sono precipitati i soccorsi, poi il triatleta è stato trasferito in ospedale, ma all’arrivo non c’era più nulla da fare, il suo cuore aveva smesso di battere per sempre. «Il peso è tremendo, e ora - con difficoltà - continuiamo a lavorare, c’è da fare in modo che proseguano i progetti che aveva messo in campo Enrico. Una ventina di persone lavorano qui, e sono convinto che tenere duro e andare avanti sarebbe stata la volontà di Enrico. Perché lui non si fermava mai, e poi l’azienda gli permetteva di dare sostegno e futuro al bene per lui più importante: la sua famiglia».
Fratelli diversi: «Caratteri complementari, così ci descrivevamo. Ma anch’io amo lo sport, vado in bici. Il mio sogno sarebbe stato quello, nella pausa estiva, di attraversare l’America in bici, coast to coast, ed Enrico era il mio più grande sostenitore: “Vai, vai, è una cosa bella”. Ci teneva. Io sono più introverso, mentre lui metteva tutto in positivo, era felice facessi esperienze piene, forti, importanti, vitali. Sono convinto che per entrambi, a volte, salire in bici era un modo per scacciare i pensieri, correre via, macinare chilometri, metterci alla prova, e poi si è più forti, più pronti ad affrontare altre salite, altre strade». Il leader insegnava a stringere i denti, ma ora - la verità - è che il leader ha lasciato un vuoto difficile da colmare: «Adesso per noi è tanto dura, Enrico era un trascinatore, uno che sapeva far funzionare le cose, le relazioni, la vita. Mi manca già tanto, io sono uno smemorato, lui era così preciso, mi ricordava tutto. Un esempio, un faro. Lui c’era». E ora, invece, c’è il vuoto, come se l’impresa più dura Enrico l’avesse lasciata a chi amava, a chi deve fare a meno del suo cuore infinito e dei suoi muscoli d’acciaio.
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