La città delle due torri dove predicava il Santo

C’era una volta la via Aurelia, tracciata due millenni fa dai valenti urbanisti e ingegneri dell’antica Roma nell’intento di facilitare i collegamenti in verticale della X Regio Venetia et Histria, lungo un percorso dove nei secoli si sono saldamente intrecciate storia e cultura, politica e religione. E Camposampiero era uno degli snodi principali di questa arteria, peraltro sprofondata nel degrado delle invasioni barbariche dopo la lunga e felice stagione della colonizzazione romana.
La cittadina riparte di fatto attorno al fatidico anno Mille, grazie alla presenza di feudatari che legano il loro nome al luogo, la potente dinasty dei Camposampiero: ce n’è traccia già in un documento del 1025. Due secoli dopo è proprio uno di loro, Tiso, a invitare da queste parti un fraticello peraltro già famoso di suo, e destinato a diventare il santo più popolare della storia: si chiama Antonio, è di origini portoghesi, e ancorché giovane è ormai alle ultime battute di una vita breve quanto intensa. Quando arriva a Camposampiero dalla vicina Padova, nel 1231, è già minato dalla malattia: si sistema in un piccolo convento costruito nei pressi del castello della famiglia dominante. Oggi i tanti pellegrini che visitano questi luoghi si soffermano soprattutto in due punti: il Santuario del Noce, eretto nel punto in cui secondo la tradizione Antonio predicava dall’alto di un albero di noce a un popolo sempre più numeroso; e la Cella della Visione, dove si racconta che Tiso abbia un giorno trovato il santo in adorazione del bambino Gesù. Da qui il fraticello partirà già morente su un carro per tornare a morire Padova: si spegnerà poche ore dopo l’arrivo.
La città sta vivendo un periodo di particolare fortuna, caratterizzandosi come uno dei centri di eccellenza sia sotto il profilo politico che quello economico: un punto di riferimento obbligato per i Camposampiero, consapevoli dell’importanza di puntare sulla giusta rete di alleanze. Il paese passa sotto la giurisdizione patavina, ottenendo in cambio il ruolo di punto di riferimento per l’intera zona. Ma puntare su un partner privilegiato ha sempre dei rischi, specie quando quest’ultimo si mette in urta con i poteri forti dell’epoca: come accade nel secolo successivo, quando gli ambiziosi Carraresi prendono il controllo di Padova e del suo territorio. Solo nel 1405, con il definitivo affermarsi della Serenissima in terraferma, si torna ad una stabilità che rimarrà tale di fatto per quasi quattro secoli. Venezia coglie l’importanza strategica della cittadina, elevandola al rango di podestaria e facendo rientrare sotto la sua giurisdizione una trentina di comuni. Il controllo rimane saldamente in laguna, grazie alla designazione di un podestà; ma la Repubblica si ispira a un federalismo avanzato, dando vita a una serie di istituzioni locali dotate di un elevato grado di autonomia, a partire da un consiglio liberamente eletto dai capifamiglia della zona. E siccome anche all’epoca la sicurezza è una priorità, Venezia organizza un corpo militare adibito a servizi di ordine e vigilanza locale, la “Cernide”, il cui capitano comanda pure i corpi distaccati di Cittadella a ovest e Mirano ad est.
Come in tutto il resto del Veneto, la Dominante si prende cura comunque anche del paesaggio, cominciando dalla sistemazione del regime idraulico, fondamentale in una zona attraversata da tre fiumi turbolenti di loro, il Vandura, il Muson vecchio e il Tergolino: grazie a questo intervento, lungo i corsi d’acqua sorgono diversi mulini insediati su piccole isole ottenute con la deviazione di un modesto tratto di fiume, e dove i contadini della zona arrivano per far macinare il grano. Ma la suggestione dei luoghi attira anche esponenti dei ceti medio-alti, patrizi doc e borghesi arricchiti, che alla fiorente industria edilizia dell’epoca affidano la costruzione di ville con tanto di barchessa, concepite come residenza ma anche come azienda agricola: tra queste, villa Querini lungo il corso del Muson vecchio, e villa Legrenzi in pieno centro storico. E non manca ovviamente il versante religioso, qui segnato tra l’altro da un singolare intreccio: Camposampiero è uno dei pochissimi centri veneti ad essere diviso in due giurisdizioni religiose il cui confine è segnato dal piccolo corso d’acqua del Vandura. A ovest delle sue sponde sorge l’antica chiesa di San Marco che risale alla fine del dodicesimo secolo, e i cui fedeli fanno capo alla diocesi di Padova; a est svettano i campanili di San Pietro e della frazione di Rustega con la parrocchiale di Santa Maria Assunta, incardinati in quella di Treviso.
Il lungo periodo di pace e di relativa prosperità non sembra però creare un gran feeling tra i camposampieresi e la Serenissima; quando quest’ultima tramonta e arriva Napoleone, la gente accoglie con grande favore la svolta politica e in particolare il personaggio, tant’è che nel 1807 la cittadina viene elevata a sede di vice prefettura, dipendente da Padova ma con giurisdizione su un territorio ampio che, riprendendo l’impostazione veneziana, va da Cittadella a Mirano. Breve gloria, peraltro, perché il successivo arrivo degli austriaci cambia il corso delle cose: non rientra nelle priorità del colosso asburgico coltivare la simpatia delle popolazioni controllate. Così Camposampiero diventa uno dei centri padovani dove più attecchiscono le idee del Risorgimento: le cronache dell’Ottocento segnalano la presenza di un attivo gruppo di patrioti, tra cui quel Domenico Mogno che diventerà poi il primo sindaco del paese, una volta rispediti a casa loro gli imperiali e realizzata l’annessione del Veneto al Regno d’Italia. Da lì in avanti, la cittadina mantiene una posizione di rilievo. Già nel sedicesimo secolo Camposampiero ha un nome che va ben oltre i propri confini geografici per la produzione della lana di qualità. A una struttura per secoli robustamente agricola, sul finire del diciannovesimo secolo comincia ad affiancarsi la dimensione industriale con l’apertura di una filanda dove viene trattato il prodotto dei bozzoli allevati nella zona. Poi, dagli anni Sessanta, l’ex borgo agricolo si viene consolidando come centro produttivo tra i più dinamici del dinamico Nordest, con l’insediamento di industrie di punta.
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