La notte nell’arte da Tutankhamon a Van Gogh

di Elena Livieri
Il racconto della notte, del buio che anela alla luce dell’alba, il mistero dell’animo umano che da sempre nella notte si perde e si ritrova: è un viaggio fisico e mistico insieme quello che conduce attraverso le sezioni della mostra “Tutankhamon Caravaggio Van Gogh. La sera e i notturni dagli Egizi al Novecento”, allestita nella Basilica Palladiana di Vicenza e curata da Marco Goldin per Linea d’ombra, promossa da Fondazione Teatro Comunale della Città di Vicenza e il Comune di Vicenza. Sono 113 opere, divise in sei sezioni, provenienti da trenta musei e collezioni private di tutto il mondo a riempire uno spartito di musica che canta la notte nel novero dell’intero immaginario umano, nell’arte, ma anche nella letteratura, nella poesia e nella filosofia.
È una storia che segue solo in parte la linea del tempo e che si alimenta, piuttosto, di continue contaminazioni di spazi ed epoche lontane.
Si parte da 5 mila anni fa, dal cielo stellato che ammanta i volti dell’antico Egitto e dove il corpo del visitatore viene chiamato a sperimentare l’abbraccio fisico con la tenebra. Qui la notte è la metafora del viaggio dalla morte alla vita, l’eternità e l’infinito del tempo, il transito. E il primo cortocircuito in cui Goldin fa incontrare l’antico con il contemporaneo, affiancando ai volti egizi il rilievo policromo della “Donna addormentata” di Antonio Lopéz García, creando uno sfregamento fisico e concettuale fra cose lontane nel tempo, che sonno e sogno uniscono idealmente.
Ma la notte è anche contenitore di storie e lo si vede nell’arte del sacro, nel dipinto di “Marta e Maria Maddalena” di Caravaggio, il pittore della notte per eccellenza capace di cambiarne i connotati, facendone realtà sostanziale e non più aggettivo. Torna nell’ “Adorazione dei pastori” di El Greco o di Lorenzo Lotto, o in opere di Giorgione e Tiziano in cui la notte è la cornice del racconto della passione del Cristo e dell’uomo insieme, interprete dell’assoluto e della sofferenza. E, di nuovo, la “Finestra di notte” di Lopéz García a saldare il legame fra classico e contemporaneo, a evocare l’uomo e la vita, così come fanno gli echi alle opere di Bacon.
Nel Seicento la notte si svuota, diventa assoluta, mistica, si sfalda nella monocromia delle tele, si fa povera nei ritratti di San Francesco. E sono di nuovo accostamenti di Caravaggio, El Greco, Gentiloni con un artista del Novecento come Music con i suoi “Anacoreti” a svelare il continuo rimando dell’arte e del pensiero. E ancora, la notte descritta nelle incisioni di Rembrandt e nel segno nero che si fa racconto di mondi complessi, nell’illusionismo spaziale di Piranesi.
L’Ottocento la svuota dalle storie e ne fa di nuovo paesaggio, canto della natura, dalle immagini epiche dove è il tripudio degli elementi naturali di Turner ma anche nel ritrovato contatto con la realtà che indagano gli americani Lane e Churh. Sono Monet e Van Gogh che ripartono quindi dal tramonto, dove il senso del fine vita si intreccia con la fine del giorno ed è il ritorno forte della spiritualità, notte che si fa intonazione commossa de. l paesaggio.
Nel Novecento, indagato da Hopper a Mondrian, passando ancora per Monet e Wyeth, è l’emozione che legge la notte, dove a evocare le presenze sono le assenze. Ma la notte è, infine, sempre una dimensione in cui ci si perde, un viaggio nell’infinito, eterno divenire, continuo rimando e intreccio. È il “Narciso” di Caravaggio che cerca il suo animo nell’immagine riflessa nell’acqua scura, è l’unione perfetta tra uomo e paesaggio nel “Sentiero di notte in Provenza” di Van Gogh, che ha ispirato l’intero progetto di Goldin, dove la notte dello spirito e la notte dello spazio, uomo e natura, trovano la sintesi perfetta. È il viaggio eterno dell’emozione.
La mostra, che conclude la trilogia sviluppata da Linea d’Ombra e Marco Goldin a Vicenza negli ultimi tre anni, dopo la vernice di domani apre al pubblico il 24 dicembre e conta già 113 mila prenotazioni. Si potrà visitare fino al 2 giugno.
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