La star di «The L Word» dipinge con le dita

VENEZIA. Le due facce di Laurel Holloman non sono il suo doppio, bensì una la metà dell’altra. La sua vita di attrice famosa e quella riservata di pittrice appartengono alla stessa donna che oggi alle 12 inaugura la mostra di «Free Falling» all’Ateneo Veneto di Venezia, in programma fino al 29 settembre (ore 10-18, ingresso libero, chiuso il lunedì). Le sue tele sono cristalline come la superficie di un lago che cambia colore a seconda della luce. Richiamano Mark Rothko come impatto, Gerard Richter come modalità di realizzazione e Gustav Klimt come colori, ma sono di Laurel Holloman per la presenza di qualcosa di elettrico e di metallico. Che cosa? «Chiudiamo le finestre», esclama nell’Aula Magna mentre porta in primo piano il suo quadro preferito, «Soul Pocket» - e ve lo mostro», dice ai presenti. È penombra. La protagonista del telefilm cult sul mondo lesbico che in America ha spopolato, «The L Word», viene avanti con una tela sulle tonalità del grigio che sembra un pezzo di superficie strappata alla Luna. Si ferma e la posizione davanti a un faretto da terra, ancora spento. Un clic e tutto cambia. La luce illumina gli strati di colore che giacciono sotto le resine, creando vortici di colori. È allora che dall’alto sembra di scendere nelle profondità del mare, popolato soltanto da presenze fluorescenti. Questa è Laurel Holloman, un sorriso gentile su un viso acqua e sapone. Nata nel North Carolina nel 1971, la Holloman si laurea in Arte all’Università della California, per venire subito risucchiata nel mondo del cinema e della televisione. Il pubblico la conosce infatti come Tina Kennard, fedele compagna di Bette Porter: «Per la prima volta si è mostrato un mondo che rimane sempre nascosto - afferma parlando di «The L Word» che in Italia ha ottenuto un discreto successo su Sky e La7 - dando finalmente la possibilità a molte persone di riconoscersi».
Pochi sanno che in realtà, dietro a quel personaggio, si nasconde un’artista che qualche anno fa ha riscoperto il pennello e non lo vuole più mollare. Nello studio di fronte al mare della sua Venice in California la Holloman ha riscoperto le sue radici di pittrice che la portano a riempire tele di dimensioni gigantesche, come quelle esposte. «Quando dipingo - racconta girando qua e là per l’allestimento - uso una spazzola o le dita, è un contatto diretto e intenso con la materia, il colore e la tela. Spargere il colore in questo modo, strato dopo strato, seguendo un’intuizione, richiede un grande sforzo fisico». Il risultato di tale sforzo è la delicatezza, tradotta in pianure di colore.
«Abbiamo deciso di cominciare con Laurel - spiega l’art director Mauro Falaschi, udinese trapiantato in America - come prima artista della Hart Foundation, il nome del marchio scelto per la società che io e altre persone abbiamo costituito per promuovere giovani artisti. Hart non ha un significato, ma richiama come suono terra e cuore». Da Venice a Venezia, due città divise da un oceano, ma che hanno in comune l’entusiasmo di vivere oltre il proprio territorio. Così, questo è l’anno della Holloman pittrice, ancora indecisa se partecipare o meno al film in programma su «The L Word». «Lavorare come attrice è molto stancante - racconta - sei sempre in giro e non hai orari. Io ho due figlie piccole e mi sono riavvicinata all’arte, non riesco a immaginarmi la mia vita senza dipingere».
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