Monselice splende nel medioevo Persino Padova le è sottomessa

FRANCESCO JORI
I viaggi di gruppo funzionano anche nelle leggende. Con il mitico Antenore, in fuga da una Troia rasa al suolo, partono numerosi compagni di sventura. Solo che, una volta sbarcati come vuole il mito sulle spiagge venete, ciascuno prende la sua strada. E mentre Antenore decide di puntare a nord dove fonderà la futura Padova, uno dei suoi colleghi, Ossicella, preferisce piantare le tende al riparo di un monte la cui anima di pietra è fatta di selce. Monselice nasce così, secondo la leggenda; ma anche secondo la geologia, con quel “Mons Silicii” che è fatto, oltre che di solida pietra, di altrettanto solida storia.
Scavi archeologici e altri rinvenimenti hanno consentito di portare alla luce resti risalenti a una stazione eneolotica sul laghetto di Costa; a Ca’ Oddo sono state trovate tracce di un insediamento di epoca venetica; a Marendole è documentata la presenza di una necropoli romana sotto il monte Ricco. Roma dà la propria impronta alla zona almeno dal I secolo avanti Cristo al II dopo Cristo. E quando l’impero si squaglia, a differenza della quasi totalità del resto del Padovano che inizia un lunghissimo periodo di decadenza e degrado, Monselice mantiene una sua centralità strategica, posta com’è in un ideale crocicchio tra le direttrici nord-sud ed est-ovest, con a fianco un colle che rappresenta un naturale baluardo, oltre che un eccellente punto di osservazione. Così, quando i longobardi di Agilulfo calano nel Veneto centro-meridionale, e le suonano ai bizantini che vi sono insediati relegandoli oltre l’Adige, quel luogo attira subito il loro interesse, e decidono di farne un “castrum”, vale a dire una postazione militare di primo piano. Ad esso viene aggregata la stessa Padova, relegata a un ruolo periferico; e Monselice diventa di fatto il caposaldo orientale della conquista longobarda dell’Alta Italia, mentre quello occidentale viene stabilito a Pavia, proclamata capitale: all’epoca dell’ultimo re di quel popolo, Desiderio, è sede di una corte regia dalla quale dipendono molti possedimenti dell’area euganea e della Bassa padovana.
Dopo l’anno Mille, il centro abitato conosce una forte espansione demografica, che nel 1300 lo porta a diventare il posto più abitato della provincia, con 5mila abitanti, cifra notevolissima per l’epoca. Così si espande anche urbanisticamente al di fuori del “castrum” originario, e continua a mantenere un ruolo politico di primo piano: all’epoca del Barbarossa, dunque nel XII secolo, acquisisce lo status di libero Comune, con un podestà e due consoli. E può far leva sull’imprendibile Rocca (ancor oggi suo tipico emblema), erede di quel “castrum”: ritenuta inespugnabile grazie a un sistema difensivo composto da cinque ordini di mura, fortificazioni varie e torri, cade solo per tradimento, quando il comandante del presidio, Pesce de’ Paltanieri, si vende ad Ezzelino che così ne prende possesso. E due anni dopo arriva l’imperatore Federico II in persona, che vi tiene corte; impressionato dal complesso e colto in pieno il suo ruolo strategico, dà ordine di fortificare il colle fino alla cima, su cui campeggia ancor oggi l’imponente Mastio federiciano, sia pure a scapito dell’antica pieve di Santa Giustina che viene demolita.
Chi di tradimento ferisce, di tradimento perisce. Nel 1256 una lega costituitasi contro Ezzelino si presenta davanti alle mura lanciando una serie di assalti che andrebbero a vuoto, se ancora una volta una provvidenziale mano dall’interno non aprisse le porte agli attaccanti: è il capitano di turno, tale Profeta, a consegnare la Rocca ad Azzo d’Este. Ed è ancora un tradimento della guarnigione a spianare la strada nel 1338 a Ubertino da Carrara.
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