Moressa ucciso 12 anni, fa l’omicida non ha un nome

PIOVE DI SACCO. Ammazzato con tredici coltellate alla schiena una domenica pomeriggio nel suo ufficio in centro a Piove di Sacco.
Dopo 12 anni l’assassino dell’immobiliarista di Codevigo Angelo Moressa, all’epoca 64 anni, è senza nome. Tre gli indagati, nessun colpevole. Caso archiviato.
È il 9 ottobre 2005. È ormai sera e, stranamente, Angelo Moressa, non risponde al telefono. Prima la moglie, poi i figli, cercano di mettersi in contatto con lui a più riprese. Senza riuscirci. Una circostanza inusuale perché lui, nonostante gli innumerevoli appuntamenti e impegni di lavoro, per la famiglia c’è sempre. E quel giorno è atteso nella villetta di Cambroso per cenare con la moglie Alida e i tre figli, Sonia, Roberto e Mara. È quest’ultima, la più giovane, 30 anni e fresca di laurea in Giurisprudenza, che decide di andare a cercare il papà nel suo ufficio della Edilmor in via Cavour a Piove di Sacco.

Steso sul pavimento accanto alla scrivania, in un lago di sangue: è così che Mara Moressa trova il padre Angelo. Trucidato con tredici coltellate, come è poi emerso dall’autopsia, colpito alla schiena. Circostanza, quest’ultima, che rivela subito ai carabinieri che intervengono poco dopo sul posto, come Moressa conoscesse la persona che lo aveva aggredito e che, evidentemente, non temeva, tanto da dargli la schiena. Il sangue è schizzato sulle pareti dell’ufficio, fin sul soffitto. L’arma, un lungo coltello da cucina di quelli che si usano per tagliare la carne, se ne è andato con l’assassino. Che è fuggito sicuramente sporco del sangue della vittima, di cui vengono rilevate tracce sul corrimano della scala della palazzina.

I primi a venire interrogati dai carabinieri, come persone informate sui fatti, sono l’ex maresciallo dei carabinieri Salvatore Congiusta (morto nel 2013), che da quando era in pensione assisteva Moressa in alcune pratiche amministrative, e l’ottantenne Severino Rampazzo (morto a gennaio di quest’anno), imprenditore del mobile di Codevigo, in cattivi rapporti con la vittima con cui era in corso una spinosa causa legale. A casa di Rampazzo viene anche sequestrato un coltello, ma la pista si rivela presto cieca. Intanto si moltiplicano voci e indiscrezioni sui rapporti di affari di Moressa, ambito nel quale molti lo considerano piuttosto spregiudicato. Si infittiscono indiscrezioni su pericolose inimicizie e discutibili amicizie dell’immobiliarista (al suo funerale avrebbe partecipato l’ex capo della mala del Brenta Felice Maniero). Il primo a venire iscritto nel registro degli indagati è un albanese, che però esce presto di scena. E nel settembre del 2007 il pubblico ministero Maria D’Arpa chiede l’archiviazione del caso, alla quale però si oppone la famiglia. Le indagini riprendono. Fiacche, senza nuovi spunti. Ma il colpo di scena è dietro l’angolo.
A novembre viene convocato in procura Severino Rampazzo: è indagato per omicidio, si avvale della facoltà di non rispondere. Secondo l’accusa sarebbe il mandante dell’omicidio, commesso materialmente da Leopoldo Mantoan, anche lui iscritto nel registro degli indagati. Quest’ultimo, all’epoca 33 anni e con un profondo risentimento nei confronti di Moressa che aveva avuto infelici rapporti di affari con il padre, era già sotto processo per l’incendio che pochi giorni prima dell’omicidio era stato appiccato in uno stabilimento di Rampazzo a Codevigo. I carabinieri vi trovarono all’interno una tanica di benzina con la scritta “ruspa Moressa”. Le indagini appurano che l’immobiliarista con quel rogo non c’entrava nulla, ma qualcuno voleva farlo credere. Mantoan sarà condannato per calunnia e minacce.
Nel gennaio 2012 la lapide della tomba di Angelo Moressa nel piccolo cimitero di Cambroso viene mandata in frantumi. Sei mesi dopo, mentre in tribunale si discute della nuova richiesta di archiviazione, a cui di nuovo la famiglia si oppone, una mattina alcuni passeggiatori scoprono una bara abbandonata sulla riva del Bacchiglione a Brenta D’Abbà di Correzzola. È il feretro di Moressa. Pochi giorni di indagini e Mantoan viene arrestato per il reato di sottrazione di cadavere.

Passano tre mesi e il pm Roberto D’Angelo ordina una perquisizione in casa di Mantoan, in via Piave a Piove di Sacco. Vengono trovati un coltello e una felpa sporca. Sembra il tassello mancante, quello che serve per chiudere il caso. L’arma del delitto, forse. La famiglia di Moressa ripone l’ultima speranza sugli esiti delle analisi affidate al Ris, ma dopo poche settimane arriva l’ennesima doccia fredda. Su felpa e coltello non ci sono tracce di sangue riconducibili al delitto. In quegli stessi giorni esce di scena Rampazzo: a suo carico non sono state trovate prove, posizione archiviata. Ma vacilla ormai anche la posizione di Mantoan che infatti viene scarcerato nel febbraio del 2013. E nel giugno del 2014 il gup Cristina Cavaggion archivia l’inchiesta.
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