Omicidio-suicidio in via Faggin a Padova

Due corpi senza vita in una abitazione di Santissima Trinità. Sono fratello e sorella. La prima ipotesi è quella di un dramma familiare

La polizia scientifica in via Faggin a Padova: omicidio-suicidio

PADOVA. Due corpi stesi a terra in un lago di sangue, un fratello e una sorella legati indissolubilmente fino all’ultimo tragico atto. Due mesi prima li vedevano in quartiere spingere la carrozzina della madre inferma, due mesi dopo l’anziana non c’è più e qualcosa nella villetta al civico 50 di via Faggin ha scatenato la furia cieca.

La tragedia di via Faggin a Padova: la polizia sul posto

C’è un coltello accanto ai cadaveri, l’arma del delitto. E c’è una discrepanza che è il vero giallo di questo omicidio scoperto ieri pomeriggio. La morte di Donatella Rigon, 52 anni, risale a qualche giorno fa. Quella del fratello Piermatteo, 49 anni, risale invece alla tarda mattinata di lunedì. L’uomo potrebbe essere rimasto agonizzante per giorni prima esalare l’ultimo respiro. Un altro lui che uccide una lei.

L'orrore. Solo dopo le 16.30 di lunedì si è scoperto l’orrore che celava la villa, quasi coperta dalle piante fitte che tempestano il giardino. È stato il fratello Mirko Rigon, chiamato dalla polizia, ad aprire la porta di casa che era chiusa a chiave. Piermatteo e Donatella non si vedevano in giro da una quindicina di giorni. Entrando si è capito il motivo. Chiazze di sangue all’ingresso, sulle scale, in soggiorno. Poi al piano superiore, in camera da letto, in bagno. I due corpi erano riversi nell’antibagno. La scena del delitto suggerisce una colluttazione violenta e prolungata, che si è conclusa con la morte di entrambi.

I due cadaveri. Il corpo di lei presenta una profonda ferita alla giugulare: è certamente morta dissanguata. Quello di lui, invece, ha coltellate in varie parti: al petto, alle braccia. La squadra Scientifica della Questura sta cercando di decifrare la scena in modo da completare il lavoro dei colleghi della Squadra mobile. Poi ci saranno le risultanze dell’autopsia, anche quelle determinanti per capire chi ha ucciso chi. Secondo i primi accertamenti eseguiti da ieri pomeriggio fino a tarda sera, gli agenti sono indirizzati a pensare che sia stato lui a uccidere la sorella, tentando poi di togliersi la vita.

Lo sgomento di Mirko: «I miei due fratelli in un lago di sangue»
BASCHIERI - AGENZIA BIANCHI - PADOVA- OMICIDIO SUICIDIO ARCELLA

Il quartiere. L’immagine di Pier, così lo chiamavano tutti, e Donatella, è comunque quella di una famiglia unita. Nati lì e rimasti insieme ai genitori, anche e soprattutto quando la malattia aveva colpito mamma Concetta. C’era qualche litigio, sì. Ogni tanto li sentivano gridare. Ma il quartiere restituisce comunque un’immagine di unione, anche quando la sorte si è fatta avversa con il lavoro che non arrivava e i soldi che non bastavano mai. Piermatteo passava le giornate in un vicino bar di via Annibale Da Bassano, gestito da un imprenditore cinese. Lavorava a singhiozzo, sapeva fare giardinaggio. La sorella Donatella non apprezzava molto il suo stile di vita e per motivi molto simili avevano entrambi tagliato i ponti anche con il terzo fratello, Mirko.

Piermatteo e Donatella: un video insieme prima dell'omicidio-suicidio

L'allarme. Certo i vicini qualche domanda se l’erano fatta nel vedere quella luce accesa in casa, gli scuri aperti, l’auto sempre ferma nel vialetto. Hanno provato a suonare il campanello ma non hanno ricevuto risposta. Hanno segnalato la circostanza alla polizia e al Suem 118 ma la porta era chiusa a chiave dall’interno. Segni di effrazione non ne sono stati trovati, almeno in questa prima fase di rilievi. C’era una scala vicina al cancello sul retro ma sembra che non sia stata utilizzata in alcun modo. Il quadro generale induce gli investigatori a pensare che non ci siano altre persone coinvolte, nessuna rapina finita male.

Le indagini. Decisivi saranno gli accertamenti successivi, sentendo le persone vicine al nucleo familiare, scandagliando i conti correnti, i telefoni cellulari, entrando nella vita privata di quest’uomo e questa donna. Un fratello e una sorella sprofondati nel baratro dopo la morte della mamma.

***

Via Faggin e il caso Magello-Carlotto

Via Lucindo Faggin non è più una strada qualsiasi per i padovani da quando il 20 gennaio 1976 nella villetta a due piani al numero 27 venne uccisa con  59 coltellate Margherita Magello, 24 anni. Accusato dell'omidicio un 18enne che all'epoca si presentò spontaneamente ai carabinieri come testimone: Massimo Carlotto, oggi affermato scrittore noir, allora semplicemente presente in quella casa perché al piano sottostante abitava la sorella.  

Assolto in primo, condannato in appello, in fuga in Francia prima e poi in Messico, arrestato ed estradato in Italia, il caso Carlotto ha tenuto banco per trent'anni. Ha diviso la città in innocentisti e colpevolisti, il tutto inquinato dalla militanza politica di Carlotto allora di Lotta Continua e impegnato in un'indagine sullo spaccio dell'eroina nel quartiere dell'Arcella  famigerato allora per questo motivo.

Il processo lungo (11 sentenze e 7 dibattimenti) e complicato ha vissuto quattro  momenti chiave. Il rifacimento nel 1989 per l'adozione del nuovo codice di procedura penale,  la rarissima revisione del processo concessa a Carlotto, la sentenza definitiva di colpevolezza in Cassazione, la grazia concessa dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro nel 1993 (contro il parere della famiglia Magello) che ha chiuse la vicenda (fz).
 

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova