Troppe moschee abusive a Padova, la giunta vuole incontrare le comunità islamiche
Dopo le ultime segnalazioni di irregolarità, torna l’ipotesi di un centro di preghiera. L’amministrazione: «La legge regionale rende tutto complicato e non garantisce libertà di culto»

Riunire le comunità islamiche padovane, parlare con loro per trovare una soluzione che vada bene a tutti dopo l’ennesimo centro culturale islamico abusivo riscontrato a Padova. «Li ascolteremo» annuncia l’assessore all’edilizia privata Antonio Bressa.
Padova torna a confrontarsi con il tema divisivo e delicato della moschea. Era stato l’allora sindaco Flavio Zanonato, nel 2006 dopo gli scontri di via Anelli, a sollevare il problema: serve un luogo per assicurare la preghiera delle circa 12 mila persone di religione islamica che vivono in città. Era stato individuato anche un luogo, ma non se n’è mai fatto nulla. Oggi torna d’attualità per le verifiche urbanistiche avviate nei confronti di alcuni luoghi come via Turazza alla Stanza e via Don Lago alla Stanga.
«Con gli assessori competenti, il vicesindaco Andrea Micalizzi, Andrea Ragona, Francesca Benciolini e Margherita Colonnello, presto ci riuniremo con tutti i loro rappresentanti per individuare possibili soluzioni in grado di garantire la libertà di culto e la gestione, alla luce del sole, dell’insediamento di strutture religiose pur nel complicato contesto voluto dalla Regione. Perché solo una società più integrata e coesa è una società più sicura», dice.
La legge anti-moschee
La legge regionale, la cosiddetta “anti-moschee” di fatto rende molto complicato poter insediare luoghi di incontro e preghiera nel contesto urbano. «Si tratta di una norma, peculiarità della Regione Veneto, che rischia di relegare alla clandestinità chi vuole esercitare il proprio personale diritto di libertà di culto imponendo la necessità, per chi vuole incontrarsi con finalità religiose, di acquisire un’intera area da convertire urbanisticamente a luogo di culto», continua Bressa. La legge prevede un’unica area intera da adibire urbanisticamente a luogo di culto: «Una destinazione urbanistica non è un cambio di destinazione». Chi ha comprato ad esempio un negozio, non può pretendere che diventi luogo di culto.
L’esempio della chiesa russo-moldava
Una delle soluzioni, quindi, potrebbe essere l’individuazione di un terreno, di un capannone, da adibire a luogo di culto. Così come ha fatto la chiesa russo-moldava che si è comprata un lotto interno in via Longhin e si è costruita una chiesa con una destinazione urbanistica ricevuta dal consiglio comunale. «La norma regionale, molto restrittiva, di fatto rende molto difficile per chi non ha importanti mezzi economici da investire poter professare la propria fede», spiega ancora Bressa. «Vogliamo individuare soluzioni che siano realmente percorribili per tutti in linea con i nostri principi costituzionali», continua l’assessore.
L’obiettivo dell’amministrazione è di «continuare ad agire sul piano della regolarità edilizia per assicurare il necessario rispetto delle regole, ma contestualmente abbiamo stabilito contatti con tutte le comunità islamiche per governare un fenomeno che esiste».
«La legge regionale è fatta appositamente non per risolvere i problemi, ma per crearne – sottolinea l’assessore Andrea Ragona – E in questi anni tutti i Comuni si sono scontrati con la sua assurdità, dal momento che mette i bastoni tra le ruote a chi vuole regolarizzare alcune situazioni. È una questione strettamente legata all’urbanistica dal momento che per poter garantire un diritto sancito dalla Costituzione, cioè il diritto a professare liberamente la propria religione, obbliga a istituire processi molto complessi, ovvero attuare varianti istituendo zone religiose con standard urbanistici particolari e oneri che non tutti possono affrontare».
La legge si riferisce a tutte confessioni religiose: «Sono decine, se non centinaia di migliaia le persone straniere in Veneto, che professano diverse religioni e quindi sono colpite da questo provvedimento che non tiene conto delle decine di realtà che già esistono e non creano alcun problema. Anzi, la legge andrebbe rivista oltre che per garantire un diritto costituzionale, proprio per permettere di avere la mano più dura nei confronti di chi non rispetta le regole», chiude Ragona.
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