Quel patto tra Sorato e Zonin, entrambi banchieri a loro insaputa

Simpatico il teatrino che stanno mettendo in piedi Gianni Zonin e Samuele Sorato davanti ai magistrati.
Il presidentissimo della Popolare di Vicenza dice che gli ha preso un colpo quando ha capito cosa stava succedendo nella sua banca: il disastro si è materializzato a sua insaputa, facevano tutto i dirigenti, altrimenti sarebbe intervenuto, non vorrete metterlo in dubbio. E il direttore generale Sorato, allontanato dalla banca quando era troppo tardi, peraltro con una buonuscita di 4 milioni di euro, a obiettargli: ma se eri tu che tiravi le fila, non posso crederci.
Neanche noi. Soprattutto conoscendo i rapporti che correvano tra i due. Sorato sarebbe mai diventato il numero due di Bpvi senza un patto leonino con il cavalier Zonin ? Non aveva i fondamentali per fare il banchiere, almeno a quel livello. È la sua storia che lo dice. Si era diplomato ragioniere al Parini di Mestre, istituto privato parificato, con uno striminzito 38. Grazie al padre, piccolo notabile della Dc di Noale, è stato subito assunto al Mediocredito delle Venezie. Destinato a una carriera non certo eccelsa, avresti detto, anche perché era poco portato per la tecnica bancaria. Piuttosto aveva un pallino per l’informatica.
Poi nella lista per il rinnovo del Cda di Cattolica Assicurazioni nel 2008 lo ritrovi laureato in scienze economiche e finanziarie. Ma è l’unica volta in cui la laurea viene menzionata. Nel suo curriculum non se ne trovano altre tracce, né ci sono indicazioni di dove sia stata presa.
In ogni caso la vera forza di Sorato non sono i titoli, non lo sono mai stati. Sono le pubbliche relazioni. Bel ragazzo, con il fascino di un fisico prestante, alto un metro e novanta, abile nei rapporti, capace di cogliere le situazioni, astuto per volgerle a proprio favore. Insomma l’abito fa il monaco. Uno così non passa inosservato. Aveva le . phisique du role, era l’uomo che serviva al cavalier Zonin, deus ex machina di Bpvi e “re dei vini” in Italia. Nelle foto che li ritraggono assieme, si vede bene che tutt’e due ne sono consapevoli. Il padre e il figlio. O il gatto e la volpe, se vi pare più intonato.
Il contatto con Gianni Zonin avviene alla Sec di Padova, dove il pallino dell’informatica fa approdare l’aitante bancario di Noale. Che si traina dietro anche il fratello. La Sec è una società di servizi tra banche, tra queste c’è la Popolare di Vicenza. Samuele non ci mette molto a fare il salto in Bpvi e a cominciare la scalata. Brucia le tappe, nel 2002 è vicedirettore generale, nel 2004 vicedirettore generale vicario.
Davanti ha uno che si chiama Divo Gronchi, non esattamente uno da 38 al Parini di Mestre. Non è chiaro perché Gronchi, banchiere di caratura nazionale, molli Zonin nel 2008, proprio nel momento in cui scoppia la crisi dei derivati, le banche entrano nella turbolenza e Bpvi avrebbe più bisogno di uno come lui al comando. Sia stato per volontà di Gronchi, sia stato per gli spintoni di Zonin a un direttor generale che si metteva di traverso, il cavaliere di Gambellara ha già pronta la soluzione: Sorato.
Qui Samuele fa il passo più lungo della gamba. Finché era vice, tutto poteva andar bene, le eventuali insufficienze professionali restavano coperte. Da timoniere dovrà prendersi tutte le colpe, lo sa. Il patto leonino non può essere che questo, visto da Zonin: ti promuovo a un posto dove chissà mai se saresti arrivato con le tue forze, ti do uno stipendio d’oro di un milione settecentomila euro l’anno, gli assegni della banca porteranno la tua firma, qualcosa mi dovrai, o no?
Nel 2008 Zonin non poteva certo prevedere il disastro della sua banca, meno ancora prepararsi a fronteggiarlo, sebbene nessuno meglio di lui sapesse i disastri che andavano maturando e la totale insussistenza dei valori assegnati al valore delle azioni. Gli serviva un uomo fedele, da tenere in pugno, che facesse per lui il lavoro di collegamento con le migliaia di soci di Bpvi. Le telefonate ai direttori di filiale che autenticano le deleghe prima dell’assemblea, i contatti con singoli gruppi e capipopolo, un sacco di gente da ascoltare blandire tenere agganciata e convogliare nella grande orchestra che ogni anno doveva votare come un sol uomo la conferma del cavalier Zonin. Sentirsi banca mangiando il risotto e approvare il bilancio senza averlo mai letto. Così andava nelle popolari: non informazione ma fidelizzazione. E’ stato ampiamente scritto.
Questo il segreto di Pulcinella della longevità di Zonin, come altrove di Trinca, Consoli e via elencando tra i big finiti nella polvere. Con le sue indubbie capacità Sorato garantiva la base sociale e i voti al presidente. Ma governare la banca è un altro paio di maniche.
Adesso i due si guardano in faccia incolpandosi di quello che è successo. Sai che divertimento: stanno ammettendo entrambi che non avevano la competenza per guidare la banca di cui erano responsabili. Tecnicamente dovrebbero restituire gli stipendi milionari che ricevevano per questo. Ma se non erano loro, chi guidava qui il famoso Nordest? E come si sono materializzati decine e decine di contratti di finanziamento per acquisti di azioni "baciate"? Ma già, nessun dei due lo sa. Banchieri a loro insaputa.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova