Ricatto a luci rosse, condannata l’amante

TOMBOLO. Ricatto a luci rosse: festa finita per l’amante diabolica, la 41enne Sara Andretta, originaria di Tombolo e residente a Loria (nel Trevigiano) che , ieri, ha patteggiato per il reato di estorsione un anno, 11 mesi, 20 giorni di carcere e il pagamento di 1.500 euro di multa con la sospensione condizionale della pena. Un rito alternativo chiesto e ottenuto in quanto prevede lo sconto di un terzo rispetto alla sanzione prevista in via ordinaria, perfezionato davanti al gup padovano Mariella Fino. Un rito che ha registrato il via libera del pm Sergio Dini in seguito al pagamento da parte dell’imputata di 10 mila euro alla vittima (assistita dai legali Ernesto De Toni e Rocco Demitri). Sempre il gup Fino ha revocato la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima.
Il 25 maggio scorso erano scattati gli arresti domiciliari per Andretta, quasi subito alleggeriti nel divieto di avvicinamento. Lui, 55enne imprenditore dell’Alta padovana, si era invaghito di quella bionda procacciatrice d’affari al punto tale da assumerla sia pure con contratto di un anno. E, nonostante una moglie ufficiale, si era legato a lei per fughe d’amore tra cenette romantiche, fine settimana indimenticabili e qualche vacanza all inclusive, anche se gran parte degli incontri clandestini erano consumati in ufficio.
Dalle romanticherie al ricatto, il passo è breve. Sara Andretta pretende soldi. Sempre di più, fino a 150 mila euro: «O mi dai i soldi o io vado da tua moglie e le racconto della nostra relazione». Parole che si traducono in fatti. Alla consorte non tardano ad arrivare mail e messaggi whatsapp anonimi: «Tuo marito ti tradisce»; ancora «Stai attenta». Lui in casa nega e con l’amante quasi sta per cedere. Poi la decisione di rivolgersi ai carabinieri di Cittadella ai quali racconta tutto. I telefoni vengono intercettati. L’imprenditore, fingendo di accettare, si dichiara disponibile a consegnare la prima tranche di 20 mila euro in cambio del silenzio. È fissato un appuntamento in un’area di servizio nell’Alta padovana. All’orario concordato i due si incontrano e Sara, ignara di essere osservata e intercettata, incassa e s’allontana. Per pochi metri. Nella perquisizione in casa, le viene sequestrato pure un bigliettino forse pronto per la spedizione con un’accusa precisa: «La ditta emette delle fatture false».
Lei, dopo le manette, si era giustificata: «È un equivoco, una trappola bella e buona, per me quei soldi erano quelli che mi erano stati promessi per non avermi tenuta a lavorare, li avevo presi in buona fede».
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