Rimontata la storica scritta della Pasticceria Wiennese di Padova

Era stata rimossa sette mesi fa, dopo una multa per una mancata voltura. l titolare Emanuele Sguoto: «Raggiunto l’accordo con la Soprintendenza, sarà illuminata solo da dei faretti»

Daniela Gregnanin
Gli operai che ieri hanno rimontato l’insegna storica della pasticceria Wiennese
Gli operai che ieri hanno rimontato l’insegna storica della pasticceria Wiennese

«Ancora tu, ma non dovevamo vederci più?». La strofa della canzone del maestro Lucio Battisti composta 50 anni fa, calza a pennello per l’insegna della Pasticcieria Wiennese, che ieri è stata riposizionata dopo 7 mesi di vuoto, ridando identità al locale per la gioia di clienti e del titolare Emanuele Sguoto.

Rimossa dopo oltre 56 anni lo scorso marzo, la storica insegna in stile gotico aveva fatto discutere i padovani: era stata tolta per un impiccio burocratico relativo a una mancata voltura alla voce tasse pubblicitarie nel 2015, durante un passaggio societario dell’iconico locale di piazza Petrarca. Dopo aver ricevuto una multa da 5 mila euro – la polizia locale aveva stimato il danno apportato alle casse comunali – il verbale era giunto in Soprintendenza.

Da quel momento un’odissea per il titolare e l’intera famiglia. La questione insegna ha di fatto tenuto banco negli uffici dell’ente di via Aquileia per tre anni, perché nessuna proposta di modifica era idonea: le idee prodotte da Sguoto andavano tutte, secondo la Soprintendenza, a intaccare la bellezza paesaggistica del luogo. Il titolare aveva presentato diverse possibilità: centramento della scritta, riduzione dell’illuminazione o faretti, ma alla fine aveva vinto il no e l’insegna era stata tolta.

Per mesi la città si è sentita «orfana» di un elemento che identificava immediatamente le prelibatezze prodotte dalla Wiennese. L’attività infatti detiene con Vienna la segretissima ricetta della torta Sacher che chiunque può gustare a pochi passi dalla chiesa del Carmine, senza andare oltralpe.

La delusione per rimozione era stata tanta, ma inferiore alla tenacia del patron Luciano, che con il figlio Emanuele, non si è arreso e ha ripresentato la pratica qualche mese fa: «Avevamo messo l’insegna in un magazzino, perché stavamo realizzando una nuova scritta, ma mio papà si è incaponito», spiega Emanuele Sguoto.

Tra montaggio e riposizionamento, apertura di pratiche e modifiche all’insegna, ha dovuto divorziare dalla scritta bistrot come richiesto dalla Soprintendenza. E il costo di questo togli e metti ha superato i duemila euro, senza contare la multa.

«Le variazioni richieste nell’ultimo documento presentato, sono state giudicate compatibili con un leggero rimaneggiamento. Abbiamo tolto la retroilluminazione ai caratteri e posizionato due faretti per non turbare il paesaggio attorno. Al di là delle polemiche, posso solo dire grazie a mio papà per non aver mai mollato su questa vicenda», dice Sguoto.

Il prossimo passo per lo storico locale è il restauro dell’affascinante palazzo che lo ospita, realizzato nel 1.600 e rimaneggiato due secoli dopo. La speranza è quella che le pratiche possano essere più snelle, anche se sono già due anni che i titolari dell’edificio, aspettano un parere della Soprintendenza. 

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