La Docg al Serprino, ipotesi con tanti dubbi: «A conti fatti, non è operazione vantaggiosa»

Parla il presidente del Consorzio tutela vini Colli Euganei, che spiega tutti i limiti della proposta. E qualche produttore incalza: «Si punti su altro»

Renato Malaman
Il Serprino è una delle Doc dei Colli Euganei
Il Serprino è una delle Doc dei Colli Euganei

«L’idea di una Docg per il Serprino mi piace, certo! Tanto più pensando al territorio vulcanico che c’è dietro. Ma questa operazione sarebbe davvero vantaggiosa per il nostro frizzante simbolo? A conti fatti forse non conviene così tanto».

Gianluca Carraro, presidente del Consorzio tutela vini dei Colli Euganei, non “ritratta” sull’entusiasmo finora dimostrato per il Serprino Doc (e come potrebbe essere visto che la sua gestione dell’ente, sintetizzata nel piano strategico varato un anno fa, scommette in primis proprio sulla promozione di questo vino), ma invita a qualche opportuna riflessione.

Quella sera a Villa Cavallii-Malandrin di Bresseo, quando venne lanciata l’idea da Martino Benato (produttore e membro del consiglio del Consorzio) e da Demis Perdoncin (esercente e animatore di tanti eventi), Carraro sorrise compiaciuto davanti all’applauso dedicato al Serprino dai trecento presenti alla festa, ma a bocce ferme puntualizza che il percorso per arrivare alla Docg sarebbe irto di difficoltà, a partire dai requisiti richiesti dal Ministero, ovvero la rinomanza nazionale e internazionale del vino.

Pro e contro, insomma. «Pensiamo alla doverosa riduzione delle rese per ettaro», aggiunge. «Dai 150 quintali ettaro attuali, bisognerebbe scendere almeno a 130, senza la sicurezza che la fascetta della Docg sul mercato poi compensi adeguatamente tale sacrificio di uve».

Si sa, finora è stata la scarsa redditività delle uve Glera vinificate a Serprino rispetto a quelle destinate a diventare Prosecco (a spanne 50 euro contro 150 a quintale) a penalizzare il Serprino, tanto che la precedente dirigenza del Consorzio aveva ventilato la cessione della Doc Colli Euganei Serprino a quella della Doc Prosecco (con sede a Treviso), in cambio della promozione del vino euganeo a nicchia di eccellenza. «Di Docg si potrebbe parlare», osserva Carraro, «se si innescasse una migliore remunerazione delle uve, che è l’obiettivo a cui punta il Piano strategico varato da Consorzio insieme al consulente Angelo Peretti. Però bisogna procedere per gradi e valutare i risultati della campagna promozionale per il Serprino, il cui buon esito frutterebbe risorse utili da investire nel sostegno dei grandi rossi euganei. Il cui nuovo brand sarà pronto per l’autunno».

Oggi sui Colli Euganei (dove i produttori sono circa 350, di cui circa il 15% imbottigliatori) un terzo della superficie vitata è destinata al Glera, circa 850 ettari. Su 550 di questi, i rispettivi vignaioli possono rivendicare la doppia denominazione, ovvero scegliere se destinare le uve a Prosecco Doc o a Serprino Doc. Finora il 90% ha optato per il primo, perché rende di più: in bottiglia, ma anche come uve. Di Colli Euganei Serprino Doc oggi si producono 850.000 bottiglie, almeno una metà delle quali escono dalla Cantina Colli Euganei di Vo’.

La popolarità del Serprino comunque è in netta crescita, il “frizzante” piace ed è un vino facile. Ora occorre però avere il riscontro in termini economici, perché l’investimento in termini di promozione è stato consistente.

C’è chi ricorda che quando il Piano strategico venne presentato l’obiettivo dichiarato era di arrivare a 4 milioni di bottiglie di Serprino. Così da far incamerare al Consorzio le risorse da reinvestire sui grandi rossi bordolesi, quelli che da sempre mietono premi in guide e concorsi. «Quell’obiettivo è una chimera», dice Lucio Gomiero, patron storico (ora con due soci) di Vignalta, azienda di Arquà Petrarca che vanta il record di riconoscimenti sui Colli.

«Il Serprino non è il vino più rappresentativo dei Colli Euganei. Il Consorzio dovrebbe sostenere quei vini che hanno costruito, anche all’estero, un’immagine di prestigio dei Colli Euganei. Non puntare a un vino, con tutto il rispetto, frivolo e di fascia economica. Mi pare che i dati di produzione siano fermi a quelli del 2024».

Gomiero, che come un’altra ventina di produttori euganei decise tre anni fa di uscire dal Consorzio, è apertamente in polemica con le scelte dell’ente: «Qui il terroir c’è ed esprime da sempre soprattutto grandi rossi, più alcuni grandi bianchi. Per crescere ancora la strada giusta è quella di valorizzarli di più, soprattutto attraverso il confronto con vini competitor di livello, anche internazionali».

Carraro ai “dissidenti” del Consorzio ricorda che la disponibilità al dialogo rimane: «Ho avvicinato molti di loro, ascoltando le loro ragioni. Qualcuno si è riassociato, per gli altri le porte del Consorzio», conclude il presidente, «sono sempre aperte». —

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova