Stra, 17 mila modelli rievocano la storia della scarpa italiana

STRA (VENEZIA). Oltre 17 mila modelli catalogati, che ripercorrono la storia della calzatura made in Italy dagli anni Quaranta a oggi. È uno scrigno prezioso per ogni sguardo al femminile e per ciascuna mente creativa, il Museo della Calzatura in Riviera del Brenta. La sede è la seicentesca Villa Foscarini Rossi di Stra (Venezia), oggi di proprietà di Lvmh Italia che, nel 2003, ha rilevato Rossimoda e ne ha fatto la sua casa di produzione per alcuni marchi del gruppo. Lvmh ha così rilevato anche la missione culturale intrapresa dal fondatore del Museo, Luigino Rossi, e portata avanti dalla figlia Cristina. Il museo è un itinerario di cultura per capire come, nel tempo, i diversi popoli hanno saputo coprire, difendere o valorizzare i nostri piedi. Con alcuni pezzi d’epoca come le primissime zeppe intarsiate di madreperla, da legare con fiocchi, lavorate in Oriente, nel guardaroba di una settecentesca nobile veneziana. Ma non è solo questo il Museo della Calzatura, uno dei tre luoghi di raccolta della nostra più profonda cultura che è anche economia del fashion, assieme al polo di Vigevano e al fiorentino Museo di Salvatore Ferragamo, maestro indiscusso, artista e creatore anche e soprattutto di scarpe.

Una missione internazionale. Il Museo in Riviera è un luogo dove il passato remoto, quello glorioso dei calegheri veneziani del 1260 trasferiti in terraferma con le invasioni napoleoniche e il più recente dei loro eredi calzaturieri, irrompe nel presente e crea il futuro. La moda si nutre di ciò che è stata: lo è stato nei secoli e sempre sarà. E a pochi passi da Padova esiste uno dei più ricchi archivi di modelli di calzatura femminile di lusso: 17 mila in digitale e fisico e 1.500 esposti: una carrellata a disposizione di stilisti, modellisti, specialisti di prodotto e di immagine. Un laboratorio open di studio e osservazione, da rendere sempre più noto e accessibile a un pubblico specializzato, oltre che turistico. Perché questo è un patrimonio immenso per ogni casa di moda, nonostante la proprietà sia oggi marchiata Louis Vuitton.
Ricerca di senso. «Fin dalla sua apertura è stata una continua ricerca di senso – spiega Federica Rossi, curatore del Museo - Abbiamo definito una visione e anche una missione basata su dei doveri nei confronti di diversi interlocutori. Dovere verso gli oggetti di cui gestiamo la conservazione e la divulgazione, poi verso il pubblico e l’azienda. Noi accogliamo qui tutti i nuovi dipendenti, al loro primo giorno di lavoro, con il Welcome on board perché, conoscendo il passato, abbiano più consapevolezza del presente. Poi c’è la consulenza per le case di moda: siamo noi la memoria storica di questo luogo e, proprio perché non c’è più l’imprenditore, ne siamo anche le sue radici”. «Vorrei che il museo fosse vivo – spiega Federica - uno strumento per gli uffici stile, ma non una volta ogni tanto bensì ogni giorno. Il Museo – chiosa - deve diventare centro culturale per la diffusione internazionale della calzatura». Sono circa 3 mila i visitatori l’anno, non solo addetti ai lavori. Uno su due è straniero. «Da qualche mese abbiamo deciso di insistere sulla promozione, identificando prima di tutto i bacini dei nostri utenti potenziali, dalla zona termale di Abano fino al Garda, ma dobbiamo lavorare anche su proposte di gruppo, proponendo pacchetti con altre ville venete o altri musei d’impresa”.

Mani e menti. A guardare alcuni schizzi di Karl Lagerfield e, immediatamente, la loro declinazione ai piedi delle mannequins viene da chiedersi quale incredibile sforzo di immaginazione realistica abbia portato a realizzare quelle meraviglie. Scarpe che sono vere opere d’arte. Di certo opere di ingegneria. Ma prima di tutto di fattura artigiana. Ce lo ricorda una stanza a metà percorso, allestita con sgabello e arnesi. Pelli, chiodi, ago e filo per saldare le tomaie. C’è una pelle colorata quasi a forma di farfalla a tre ali, che ha abbellito tacchi a spillo in modo unico. Assurdo a crederci, ma è pelle di zampa di gallina. Diavolerie? No. Invenzione. Che nasce nei laboratori. Dalle mani. Come la scarpa in vipera dorata di Yves Saint Laurent. Siamo negli anni 80 e la moda ha visto passerelle calcate da ogni tipo di calzatura: tacco, zeppa. Ai piedi siamo riusciti a far indossare anche la scarpa con il tacco sospeso.
Il museo. Il percorso si snoda su due piani allestiti secondo un criterio geografico. Gli americani e i tedeschi a terra, italiani, francesi e spagnoli in alto. Fatture differenti, esigenze diverse: comodità contro scultura, spesso inaccessibile. Tra Donna Karan e Marc by Marc Jacobs con le sue ballerine a topolino e un paio d’eccezione con le orecchie di Minnie, non sono da perdere le linee pulite ma non per questo banali di Calvin Klein. C’è la teca con le celebri Porsche, nate quasi per gioco, con la forma assottigliata ad automobile e suole di pneumatico. Sperimentazione allo stato puro. Al piano di sopra le griffe sono divise per marchio con una lunga carrellata temporale di Yves Saint Laurent, che Rossimoda produsse per primo. Ai muri le cartoline di auguri formate da Yves, alcune per Luigino Rossi, che di Rossimoda fu maestro nel trattare con le matite estrose dei big. Era il 1963 quando Rossimoda ottenne il primo contratto di licenza con una Maison e quella fu proprio l’Ysl di un giovanissimo stilista appena uscito dall’atelier di Dior. Quella collaborazione durò 38 anni e fu l’inizio di un connubio fortunato per tutta la Riviera. Da qui vennero le collaborazioni con Givenchy, Anne Klein, Fendi, Genny, Richard Tyler, Vera Wang e Calvin Klein, fino all’accordo nel 2001 con l’astro nascente Christian Lacroix. Nel 1990 Rossi acquisì Villa Foscarini e cinque anni più tardi decise di esporvi i pezzi più creativi della sua azienda. Ma anche alcuni della sua personale collezione privata. Modelli battuti all’asta e per questo unici. Il museo rappresenta la creatività di tutto il distretto ed è lo stimolo per le produzioni future anche per il Politecnico, che forma giovani e futuri designer della calzatura.
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