Treviso, permesso revocato al leader nigeriano: così è nata la rivolta all'ex caserma Serena

TREVISO. Una rivolta organizzata e alimentata per paura di vedersi revocare il permesso di soggiorno. È una delle ipotesi su cui stanno lavorando gli inquirenti per fare piena luce su quanto accaduto all’interno dell’ex caserma Serena tra giovedì e venerdì. Gli agenti della Questura stanno infatti passando al setaccio i video delle riprese effettuate durante i concitati momenti della rivolta e in prima fila, a fare il capopolo, c’è sempre un trentenne nigeriano ben noto alle forze dell’ordine. Tanto che su di lui pendeva una revoca del permesso che era stata congelata proprio a causa del lockdown. Non è escluso che possa aver volutamente contribuito ad alimentare la tensione per vendetta o per fare in modo che venisse in qualche modo rivista la sua situazione.
L’inchiesta
La Digos ha immediatamente informato la Procura su quanto accaduto tra giovedì e venerdì. Il procuratore Michele Dalla Costa sta attendendo che arrivi tutta la documentazione. Sono cinque i richiedenti asilo che rischiano di dover rispondere del reato di danneggiamenti e sequestro di persona (nei confronti dei medici dell’Usl 2 presenti, come la dottoressa Pupo) mentre sono un’altra decina quelli che dovrebbero essere chiamati a rispondere del reato di danneggiamento. In queste ore sono in corsa gli interrogatori da parte della questura. In particolare è stata raccolta la versione dei fatti del personale che era rimasto bloccato all’interno della caserma venerdì mattina, dopo che si era diffusa la voce che c’era un secondo caso di positività al coronavirus. La rivolta ha comunque coinvolto complessivamente una trentina di persona, un decimo rispetto agli oltre trecento richiedenti asilo ospitati all’interno della struttura. Nella giornata di oggi gli agenti dovrebbero concludere gli accertamenti preliminari così da poter fornire un quadro esaustivo alla Procura che valuterà come procedere.
L’operatore
Ma un capitolo a parte riguarda l’operatore pakistano che ha portato il virus all’interno dell’ex caserma facendo scoppiare la ribellione. È stato accertato che l’uomo è arrivato in Italia dopo aver trascorso un periodo di vacanza in patria, lo scorso 28 maggio all’aeroporto di Milano provenendo con un volo dalla Germania. Qui sarebbe stato fatto entrare normalmente perché, non avendo i sintomi da coronavirus, doveva stare solamente in quarantena volontaria. Ovviamente nessuno doveva controllare la reale esecuzione della misura ma l’uomo però ora rischia grosso: in via teorica potrebbero anche contestargli il reato di lesioni o tentate lesioni volontarie, punibile da tre a sette anni. Saranno svolti anche approfondimenti su quanto fatto da Nova Facility, la società che ha in gestione la caserma e per la quale l’operatore lavorava. La prefettura ha infatti già inviato una richiesta ufficiale di spiegazioni su quanto accaduto. Non è escluso, anche in base alle risposte che verranno fornite, che possano essere adottati provvedimenti anche nei confronti della società che, anche se non sapeva che il pakistano doveva restare in quarantena, non avrebbe messo in campo tutte le precauzioni previste dai diversi decreti della presidenza del Consiglio emanati in questi mesi.
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