Uccise il padre con il fucile: condannato a 10 anni e 8 mesi

PADOVA. Aveva ucciso il padre, l’imprenditore 52enne Enrico Boggian, durante il riposo quotidiano sul divano della taverna sparandogli un colpo in testa con un fucile Beretta calibro 22. Un colpo secco alla nuca.
Poi era uscito per nascondere l’arma in un terreno vicino a casa, alle porte di Padova. Ed era andato a fare un giro in bicicletta. Aveva sedici anni: il tribunale dei Minori di Venezia lo ha condannato a 10 anni e 8 mesi di carcere. Lui all’inizio aveva negato. Poi si era difeso: «È stato uno scherzo. Volevo fare clic con il fucile e spaventare papà... Era il mio migliore amico, non avevo segreti per lui». Ma non è stato creduto.
La sentenza Mesi e mesi di udienze. Una sfilata di testimoni. La complessa ricostruzione della tragedia come dei legami familiari e dei delicati equilibri nei rapporti tra genitori e figli. Il collegio giudicante formato da due giudici togati (tra questi il presidente, Rocco Valeggia) e da due esperti (per legge, un uomo e una donna) ha pronunciato il verdetto nei confronti del ragazzo finito sul banco degli imputati per l’accusa più grave, l’omicidio volontario aggravato dalla premeditazione.
L’omicidio del papà. Accanto al giovane è sempre rimasto il difensore, il penalista Ernesto De Toni, che ha già presentato appello. Ora lo studente, che il 20 novembre scorso ha compiuto 18 anni, è detenuto nell’istituto penale per minori di Treviso (i cosiddetti “giovani adulti” possono restare nella struttura penitenziaria minorile fino ai 25 anni). Lì, infatti, sta compiendo un percorso di recupero sul piano personale. E sta portando avanti anche gli studi sostenuto dalla mamma Marianna che non gli ha mai fatto mancare amore e sostegno.
La tragedia È il 24 marzo 2016, un giorno come tanti, nella villetta bifamiliare di Selvazzano in via Monte Santo 13/a. E in un istante la vita di un ragazzino, e di una famiglia, è sconvolta. Quel mattino non va a scuola lo studente al liceo sportivo dell’Arcella, appassionato tennista e frequentatore di un noto club nella città del Santo. Ai genitori racconta di essere indisposto. A metà mattinata va a trovare la nonna Vittorina che abita a 200 metri dalla villetta di famiglia: vuole studiare lontano dai rumori. È lì che, da un armadio del compagno di nonna, prende il fucile Beretta calibro 22 e lo porta a casa.
Di più: lo nasconde in bagno. Alle 13. 30, come ogni giorno, torna a casa il papà Enrico. Padre e figlio pranzano insieme poi il genitore si stende sul divano per un breve riposo prima di uscire per riportare a casa da scuola l’altra figlia. È allora che il ragazzino corre a prendere il fucile, si avvicina al papà che dorme, spara e lo uccide. Quindi la corsa nel campo e il giro in bici. Un vicino di casa confermerà di aver sentito un colpo simile a uno sparo tra le 13. 45 e le 14.
La messinscena Alle 14.30 il ritorno verso casa. Il ragazzino chiede aiuto alla vicina per farsi aprire il cancello della bifamiliare: un’azione utile a precostituirsi un alibi, spiegheranno gli investigatori. Poco dopo aver superato l’ingresso, urla. E torna in strada: c’è il corpo del papà con un foro nella nuca. E il cuscino è inzuppato di sangue. Scatta l’allarme. La villetta, scena di un sospetto crimine, è blindata. Arrivano magistrato e carabinieri. Intanto i conti non tornano. Nessun segno di effrazione. Sul tavolo il Rolex della vittima del valore di 8 mila euro. Il pm Roberto Piccione interroga tutti. E più volte.
Il ragazzino crolla solo a 20 ore dalla morte del padre. E dopo una notte intera in caserma con la madre che, in lacrime, lo implora di dire la verità. Con la confessione, il caso passa al pm Monica Mazza della procura minorile. La storia dello scherzo, però, non sta in piedi. Perché non dare l’allarme subito? Perché quella messinscena? Il ragazzino risponde che era sotto choc. E che ha agito d’istinto.
Preso il fucile, ammette di aver scarrellato l’arma, manovra che mette in condizione di sparare: senza quell’operazione, pur premendo il grilletto, il proiettile non viene esploso. Spiega di aver nascosto il Beretta 22 nel bagno, vicino alla taverna: «Papà dormiva, mi sono cambiato i calzini e sono andato in bagno... Mi ero dimenticato del fucile... L’ho visto...».
Allora gli sarebbe tornata in testa quell’idea dello scherzo per spaventare il genitore che gli aveva comprato una moto 125. Lui, però, non aveva ancora potuto guidarla: per due volte era stato bocciato all’esame della patente. –
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