Vajont, un film per i giovani

Alle 22.39 del 9 ottobre 1963, 50 milioni di metri cubi di acqua si riversarono dal bacino artificiale creato dalla diga del Vajont sulla valle del Piave, distruggendo completamente Longarone e i comuni limitrofi. Quando sui luoghi del disastro si diradò la nebbia, quasi duemila abitanti erano scomparsi, inghiottiti dal muro d’acqua. Altri 400 morti si aggiunsero alle vittime di quella notte tra il 1965 e il 1966: erano i sopravvissuti spinti al suicidio dal dolore insopportabile di avere perso tutto.
Sono passati quasi 50 anni dalla tragedia del Vajont che le Nazioni Unite hanno definito «il peggior disastro al mondo provocato dall’uomo». E in occasione del 50° anniversario dalla tragedia, nove studenti del Dams e della Magistrale e Specializzazione in produzioni multimediali dell’Università di Padova hanno realizzato, per la regia e la supervisione del docente di cinema Mirco Melanco e Federico Massa, un cortometraggio di 20 minuti intitolato “La montagna infranta”, presentato alla Mostra negli spazi della Regione Veneto alla presenza del regista, degli studenti, del sindaco di Longarone Roberto Padrin e del consulente storico, Italo Filippin.
Un progetto rivolto principalmente ai bambini di tutto il mondo, un monito per il futuro perché catastrofi come quella del Vajont, provocate dall’uomo per soddisfare interessi economici, non si ripetano più. Il cortometraggio, di cui è stata presentata un’anteprima di due minuti, è attualmente in fase di montaggio e post-produzione e sarà proiettato a Belluno la sera del 9 ottobre. Un lavoro che mette insieme immagini di repertorio, animazioni e disegni curati da Romina Zanon ma, soprattutto, le interviste raccolte all’indomani della tragedia dal filosofo esistenzialista e regista Luigi di Gianni. Tra queste, anche la testimonianza di Tina Merlin, la giornalista che per prima denunciò i pericoli legati alla costruzione della diga del Vajont. Sono sue le parole più potenti e sofferte raccolte qualche giorno dopo l’inondazione: «Mi sale dentro una rabbia interiore, una ribellione, che è quasi più grande della pietà per i morti».
Lo stesso regista, originario di Cesa di Limana, ha ricordato quando la sua famiglia fu svegliata nel cuore della notte da una telefonata che avvertiva loro di scappare: «Avevo solo tre anni e mezzo, ma ricordo ancora il silenzio e l’odore del fango. Mia madre mi disse che fu la prima volta nella mia vita che vomitai».
Il film, che è il risultato di un lungo lavoro di elaborazione della letteratura cinematografica sul Vajont (dai documentari di Di Gianni, all’opera di Marco Paolini, al film di Renzo Martinelli), dopo la sua presentazione ufficiale, sarà distribuito nei circuiti scolastici, con l’ambizione di approdare ai prossimi festival internazionali di Roma, Torino e Buenos Aires .
Marco Contino
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