Bambini da Gaza curati a Padova: ricostruzioni e protesi bioniche grazie alla chirurgia plastica

Il professor Bassetto racconta le storie delle vittime di guerra arrivate in Azienda. «Abbiamo visto ustioni e amputazioni importanti, ma anche situazioni umane complesse»

Simonetta Zanetti
Padova: L’équipe del professor Franco Bassetto
Padova: L’équipe del professor Franco Bassetto

Sono quattro le giovani, giovanissime, vite arrivare da Gaza e restituite – ad oggi – alla speranza dall’equipe del professor Franco Bassetto che dirige la Chirurgia Plastica dell’Azienda Ospedale Università. Perché curare al meglio le ferite del corpo, oltre ad essere vitale, è anche un punto di partenza per rimarginare – per quanto possibile – quelle dell’anima. Per ripartire. E tornare a giocare, studiare, crescere.

La vicenda

«Su questi bambini abbiamo visto gli effetti distruttivi della guerra» conferma il professor Bassetto «soprattutto ustioni, più o meno estese, con gli effetti che queste hanno sul corpo. Il caso più drammatico ha riguardato una bambina di 9 anni, vittima di un’esplosione in cui aveva subito l’amputazione di un braccio e una gamba.

PADOVA. DA SX DR. CESARE TIENGO FRANCO BASSETTO
PADOVA. DA SX DR. CESARE TIENGO FRANCO BASSETTO

Le estremità esplose erano state trattate al fronte con una chirurgia di guerra, sistemando il moncone osseo sulla pelle. Il problema è che i sui nervi si erano sviluppati dei neuromi da amputazione che le causavano delle scariche elettriche dolorosissime, per cui la bimba non si poteva toccare».

Gli interventi 

Arrivata a Padova, la piccola è stata sottoposta a un percorso riabilitativo per ammorbidire le cicatrici con il dottor Piccione – «qui il lavoro di squadra è pazzesco, dalla riabilitazione al coordinamento del dottor Rosi sull’emergenza alla dottoressa Nesoti per la direzione medica» assicura –, quindi la piccola è stata portata in sala: «Le abbiamo tolto il neuroma e avvolto i nervi del braccio nel muscolo. Dopodiché alla bimba, che è in crescita, abbiamo messo una protesi molto semplice che ha già imparato a usare. Ma» aggiunge «è sul moncone dell’arto inferiore che siamo riusciti a fare un capolavoro, che un giorno le permetterà di indossare una protesi bionica. Con la microchirurgia abbiamo connesso i nervi tra loro, passando da un moncone doloroso a uno sensibile. Per questo, in futuro, grazie alla bioingegneria potrà usare una protesi bionica sensitiva. L’abbiamo dimessa e in questo momento si trova con i parenti, profughi in Egitto e ha già imparato a camminare».

La prima paziente 

Ma, come detto, il suo non è un caso unico: «La prima paziente che è arrivata da Gaza aveva 16 anni e aveva un’importante retrazione da ustione sulla gamba» ricorda il chirurgo «di fatto non riusciva a estendere la gamba e a camminare. Con un paio di interventi, attraverso una tecnica di plastica a Z, abbiamo immesso tessuto adiposo rigenerativo che è migliore per la prognosi e la ragazza ha ripreso a camminare e va a scuola qui a Padova».

Aveva appena tre anni, invece, la piccola che è arrivata con ustioni al collo da liquido bollente, sempre effetto dei bombardamenti: «La cicatrice aveva creato una colata che univa il collo direttamente alla spalla» rivela Bassetto «abbiamo sbrigliato le cicatrici usando la tecnologia della pelle di pesce islandese che questo le ha consentito di tornare a estendere il collo».

Infine c’è la storia di Ahmed, che per i padovani, più di altri, è diventato un volto della tragedia del popolo palestinese. È arrivato qui con la mamma e i due fratellini a febbraio: «A causa della guerra aveva riportato ustioni sul 40% del corpo» prosegue «inizialmente era stato trasferito da Gaza all’ospedale italiano del Cairo dove era stato trattato per il 20% delle ustioni e quando è arrivato qui ne restavano altrettante, in particolare su dorso e glutei. Anche in questo caso siamo intervenuti con la tecnologia della pelle di pesce e risulta cicatrizzare in modo normale. Lo rivedrò lunedì, nel frattempo abbiamo chiesto al prefetto che il suo soggiorno possa essere prolungato di altri tre mesi, per poter proseguire i controlli».

L’accoglienza 

Dietro a ogni storia un bambino che soffre, ma anche famiglie spaesate «sono situazioni davvero complesse, madri molto giovani o bambini accompagnati da altri parenti, ovviamente c’è la barriera della lingua, per cui c’è sempre un mediatore culturale. Anche gli infermieri sono molto bravi, impegnati con l’obiettivo di far andare le cose al meglio, per non parlare delle associazioni e dei medici che fanno da ponte», aggiunge.

Un lavoro complesso testimoniato da una storia il cui lieto fine è ancora da scrivere: «Aspettavamo un bimbo che doveva arrivare con la nonna, ma alla fine questa non se l’è più sentita. Contiamo che comunque possa arrivare al più presto perché più si aspetta per le cure, più si modifica anche la plasticità cerebrale, per cui diventa più difficile sistemare le cose». 

Come aiutare

Il Mattino di Padova e il gruppo Nord Est Multimedia sostengono il progetto di accoglienza dell’associazione “Padova abbraccia i bambini”. Il progetto si chiama “Una casa per i bimbi di Gaza” e prevede, come obiettivo primario, di dare un tetto e un supporto alle famiglie dei bambini rimasti gravemente feriti a seguito dei bombardamenti di Gaza e della Striscia, e che grazie a un corridoio umanitario e sanitario gestito dalla Protezione civile italiana, d’intesa con le Prefetture e i Comuni, vengono (anche) a Padova a curarsi.

L’obiettivo della campagna di solidarietà è dare un tetto e un supporto alle famiglie dei bambini in cura a Padova.
E’ stato aperto un conto corrente ad hoc per favorire le donazioni all’associazione, questo è il codice Iban: IT09S0103012190000004226104.
Per informazioni o segnalazioni di disponibilità scrivete a questa mail: cronaca@mattinopadova.it

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