La gioia di Amna, palestinese arrivata a Padova: «Hanno cessato il fuoco»
Amna, 29 anni, racconta l’emozione di queste ultime ore nell’apprendere che si è giunti a un accordo di pace in Palestina

«Ero a letto quando ho iniziato a sentire uno, poi due, poi tre messaggi sul cellulare. Uno in fila all’altro. Era la mia amica Iman, mi ha scritto: “Hanno cessato il fuoco! C’è la pace!”. Non ci potevo credere, ho svegliato i miei figli, ci siamo messi a saltare, a gridare di gioia».
A parlare è Amna Abu Hamida, 29 anni, palestinese di Gaza, arrivata a Padova lo scorso 12 giugno con una missione umanitaria. È stata accolta in città dall’associazione Padova abbraccia i bambini, che ad oggi si sta occupando di cinque nuclei familiari, 21 persone in tutto, di cui la maggior parte minori.
Amna è arrivata in Italia per far curare suo figlio di 8 anni, Abdelrahman, rimasto ferito gravemente a un occhio e a una gamba durante un bombardamento. Con loro c’è Batoul, la sorellina di 6 anni. Nella loro tenda, a Mawasi, Khan Yunis, lo scorso 15 aprile un drone israeliano ha ucciso il marito e il figlio di un anno e quattro mesi.
Ma ora Amna vuole parlare di speranza.
Amna, come si è sentita quando ha saputo che c’era l’accordo di un cessate il fuoco a Gaza?
«Quando ho saputo che la guerra era finita sono stata davvero tanto felice. Ho visto le feste in strada a Gaza, le persone che festeggiavano. Ora Gaza è al sicuro e può finalmente godersi la pace».
Come si immagina adesso la sua città, la sua Palestina?
«Credo che adesso, o a breve, tutto sarà aperto. Le persone saranno libere di circolare e si sentiranno sicure. I confini verranno aperti, non ci sarà la paura di essere colpiti da una bomba o un drone da un momento all’altro».
Vivevate così prima di arrivare in Italia?
«Sì, siamo dovuti scappare dalla nostra casa, dalla nostra città, per trasferirci in una tenda vicino a Khan Yunis. Mio figlio più piccolo, Malik, ha vissuto la sua breve vita in guerra, nella privazione, senza poter avere da mangiare ciò che tutti i bambini dovrebbero avere».
Ha perso anchesuo marito e il marito di sua sorella quella maledetta notte del 15 aprile?
«Sì, eravamo in tenda insieme. Mio marito, quello di mia sorella e mio figlio piccolo erano vicini. Non c’è stato niente da fare. Ho tirato fuori dal fuoco Malik ma era troppo tardi. Anche il figlio di mia sorella è rimasto ferito. L’hanno operato a Gaza e ora ha una lunga cicatrice su tutta la pancia. Loro sono ancora là».
Si sente più serena adesso pensando alla sua famiglia a Gaza?
«Sicuramente. Ci sono i miei genitori, mio fratello, mia sorella, i miei nipoti. Finora sono stata in ansia per loro ogni giorno, pregavo non gli succedesse nulla ma sapevo che avrei potuto ricevere una notizia terribile da un giorno all’altro. Cercavo di essere forte davanti ai miei figli, ma non è facile. Ora sono più sollevata. Li ho sentiti e anche loro sono felicissimi».
Entreranno anche aiuti umanitari a Gaza.
«Finalmente. La gente soffre la fame, i bambini stanno morendo per la denutrizione. A volte penso che sia un sogno che questa maledetta guerra sia finita e invece è proprio così» (si commuove ndr)
Cosa la commuove più di tutto?
«Il fatto che potrò rivedere i miei genitori, la mia famiglia. Sono vivi, stanno bene, non li ho persi. Spero vengano qui in Italia o se potrò andrò io a trovarli. Non vedo l’ora di riabbracciarli tutti».
Come vede la sua Gaza tra qualche anno?
«Vedo bambini che tornano a scuola, vedo intere famiglie, o quel che ne resta purtroppo, abbandonare le tende dei campi profughi e tornare a vivere in una casa. Vedo moschee, ospedali. Vedo la vita, quella che adesso non c’è e che a volte ho pensato non sarebbe mai più tornata. Vedo speranza. Noi tutti palestinesi speriamo».
Insieme alla famiglia di Amna l’associazione Padova abbraccia i bambini ha accolto altri quattro nuclei familiari provenienti dalla Striscia e arrivati in Italia grazie a evacuazioni mediche organizzate da Protezione Civile e Farnesina. Tra queste famiglie c’è quella di Iman, la donna che Amna nomina nella sua intervista, quella che le ha dato la bella notizia della pace a Gaza. Iman è arrivata con il figlio Abdullah, 10 anni, malato di leucemia, e la piccola Qamar, 9 mesi. A Gaza ha lasciato il marito e altri due figli piccoli. Poi c’è Alaa che ha accompagnato il figlio di 7 anni, Ahmed, ustionato per il 40% del corpo, con i due gemellini di 4 anni Mohamed e Masak. A Gaza ci sono il marito e altre due figlie minori. Rewaida si è fatta carico invece del nipote Moatasem, 11 anni, rimasto orfano e con numerose ferite alla testa e ustioni su tutto il corpo. Insieme a lei anche il figlio di 16 anni Jameel. Infine, con la missione di agosto è stata accolta la piccola Sila Madi, 8 anni, amputata ad entrambe le gambe. Con lei i genitori e i suoi cinque fratelli. —
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