Martina aiuta la famiglia di Gaza: «Insieme a me, si sentono meno stranieri»
Martina Schiavolin, 24 anni, studentessa di Rio di Ponte San Nicolò, si impegna come mediatrice culturale per aiutare la famiglia palestinese arrivata da Gaza a Padova: «Quando ho letto che c’era bisogno di aiuto non ho esitato»

«Inshallah, se Dio vuole, lo dicono sempre, è un’espressione che accompagna ogni frase. Nella cultura palestinese tutto dipende da Dio, da un disegno più grande.
C’è la guerra, muore un figlio, un marito, c’è la possibilità di andare in Italia, si può fare la richiesta di asilo politico, Inshallah, se Dio vuole. È la loro forza».
Martina Schiavolin, 24 anni, è una studentessa universitaria di Rio di Ponte San Nicolò che si è resa disponibile come mediatrice culturale per aiutare i bambini e le famiglie della Striscia di Gaza giunti in città tramite l’associazione «Padova abbraccia i bambini Odv».
È laureata in lingue, culture e società dell’Asia e dell’Africa mediterranea, sta finendo la magistrale in Lingue, economie e istituzioni dell’Asia e dell’Africa mediterranea. Dovrebbe laurearsi ad ottobre. Ha vissuto a Doha, in Qatar dove ha perfezionato l’arabo che parla perfettamente.
«Amo da sempre la cultura palestinese – racconta con entusiasmo –. Ho visto su Facebook un post del Mattino di Padova, ho letto Gaza e non ho esitato a contattare l’associazione che sta seguendo i bambini malati, feriti e i loro familiari. Sono a disposizione, cerco di fare del mio meglio» racconta.
Ha cominciato qualche giorno fa. «Il pomeriggio vado a trovare mamma Amna, faccio la spesa e vado a prendere all’asilo la piccola Batool di 5 anni e mezzo. La mattina frequento il tirocinio per l’università alle cucine popolari, ma se sarà possibile, lo sposterò. Stare con i miei nuovi amici e le mie nuove amiche palestinesi mi piace tantissimo».
Nel fine settimana Martina andrà in ospedale per trovare il piccolo Abdullah, malato di leucemia per salutarlo e fare compagnia alla mamma che ha anche una bimba di 7 mesi. Intanto segue Amna e i suoi bambini.
«Amna è molto felice di parlare con me – afferma –. Si sente un po’ meno straniera, anche se sono italiana la faccio sentire a casa». La donna ha 29 anni, a Gaza ha perso un figlio e il marito. «Ha studiato letteratura araba – racconta Martina –, è una donna in gamba, vuole imparare l’italiano. Prima della guerra abitava con la sua famiglia in una bella casa. Avevano una vita normale, erano felici. La loro dimora è stata bombardata, hanno perso tutto e si sono ritrovati sotto una tenda». Anche i piccoli ricordano: «La piccola Batool ha capito e sa tutto: che ha perso il fratellino, il papà. È abbastanza allegra, giochiamo insieme con le bambole. Mi ha raccontato che andava a scuola, che poi è arrivata la guerra».
Il fratello Abdulrahaman, 7 anni, in cura per una scheggia in un occhio, è più silenzioso, «ma sta imparando a conoscermi» dice Martina. «Sono bambini che sembrano più grandi della loro età».
La giovane universitaria frequenta ragazze palestinesi: «Ho imparato molto da loro, mi sento una privilegiata, è un ricchezza. Amo molto la loro cultura, mi prendono in giro dicendo che mi hanno scambiato nella culla».
Tutto sta nella conoscenza: «Dico sempre agli amici italiani che è necessario conoscere queste persone. In televisione sono numeri. Se te li trovi di fronte e senti le loro storie di vita cambia la prospettiva. Sono esattamente come noi».
Una passeggiata in centro, un giro da Tigotà, una breve lezione sul semaforo: «Mi raccomando, si passa quando c’è l’omino verde, si sta fermi quando c’è l’omino rosso» ha spiegato Martina a Batool. «Tende sempre a correre in mezzo alla strada, abituata nel suo Paese» dice. «Vorrei che il quartiere cominciasse a conoscerli. Io insegno qualcosa a loro, loro insegnano qualcosa a me».
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