Calcio Padova, questo gruppo deve imparare a volersi bene
Credere è fidarsi che le cose accadono quando si è pronti ad accoglierle. Non è superstizione: è disciplina dell’animo. Combattere insieme con la consapevolezza che il risultato "è lì che aspetta" non è retorica, è programma operativo.

Il pareggio fra speranza e realtà si misura spesso in centimetri, in un disimpegno sbagliato, in un rigore non dato.
Ma il Padova ha perso qualcosa che non si conta in statistiche: non la corsa, non l’applicazione, non l’onore della fatica. Ha perso la sensazione — sottile e potente — che spinge un gruppo a trasformare l’impegno in risultato.
È un errore ricorrente pensare che il valore di una squadra sia la somma dei valori dei singoli. Il calcio insegna altro: la differenza la fa la coesione. È la qualità del “noi” che decide se la stanchezza diventa legno duro oppure scintilla. I biancoscudati hanno dato tutto; ma a un certo punto è mancata quella corrente interna che unisce intenzioni e gesti, che trasforma la fatica in audacia, quella magia che fa succedere le cose. E’ mancato il volersi bene. Che vuol dire creazione di sicurezza psicologica. Volersi bene è togliere spazio alla paura — non il semplice coraggio dello sforzo, ma l’attenuazione delle paure inconsce che derivano da un passato che pesa e da un futuro che spaventa. Si impara a stare nel momento, a consegnare all’istante la responsabilità di dare forma al desiderio.
La stagione scorsa ci ha ricordato che questa magia non è una leggenda: è possibile. Non ci sono ricette, solo pratiche: rituali di gruppo, linguaggi condivisi, piccole abitudini. Il mister — e Andreoletti lo ha ricordato alla vigilia — ha ragione quando chiede che società, tifosi e città remino nella stessa direzione. Ma la bussola la tiene sempre la squadra: è lei che deve orientare, mostrare la rotta con i suoi comportamenti. La direzione non si impone dall’alto con proclami: si costruisce nel quotidiano, con il credere in ciò che si fa. Credere, nel senso più grande, è anche fidarsi che le cose accadono quando si è pronti ad accoglierle. Non è superstizione: è disciplina dell’animo. Combattere insieme con la consapevolezza che il risultato "è lì che aspetta" non è retorica, è programma operativo.
Il campionato è appena iniziato e la sconfitta casalinga è una pietra sulla strada. Niente drammi. Ma nemmeno leggerezza: la fase che segue una sconfitta è decisiva. Serve leadership emotiva, volontà di interrogarsi senza colpevolizzare, capacità di trasformare la frustrazione in progetto. Perché il vero compito del Padova adesso non è solo riordinare schemi tattici: è ritessere una narrazione comune.
La città, i tifosi, la società hanno il diritto di chiedere risultati. Ma prima ancora devono pretendere autenticità: che la squadra assuma per prima la responsabilità di essere comunità. Se lo farà, quel “volersi bene” di cui si parla — non come dolcezza ma come promessa di impegno — potrà tornare a produrre la magia vista in passato. —
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