I segreti di Padova: il caveau dei paleoveneti

Alla scoperta del deposito "nascosto" dove si portano alla luce tombe e reperti ritrovati negli scavi

PADOVA. L’occasione è irripetibile, il piacere impagabile oltre che normalmente proibitissimo per chi archeologo non è: allungare le mani e poggiare i polpastrelli sui resti, combusti e comprensivi di corredo funebre, di un veneto antico, appena liberati dai depositi di tremila anni e contenuti in un ossuario di terracotta che a sua volta era “vestito” da un sacchetto di tessuto probabilmente in lana. Il tutto proveniente dalla necropoli tra via Tiepolo e via San Massimo dove sono state asportate circa 330 tombe in un grande scavo nel 1990-1991. Necropoli che è stata utilizzata come tale fin dal IX-inizio VIII secolo avanti Cristo.

Come impagabile è l’emozione di sfiorare lo scheletro di un ventenne del VI secolo a.C. rinvenuto sempre in via Tiepolo, adagiato su uno dei due cavalli, molto ben conservati, esposti nella mostra “Venetkens. Viaggio nella terra dei Veneti antichi” allestita in Salone nel 2013.

Ancora più forte la suggestione di toccare le ossa e quei denti, così perfetti da parere finti, di un ragazzo che fu probabilmente sacrificato in compagnia di due equini, per sacralizzare la fondazione di un tumulo voluto da un’importante famiglia paleoveneta. Il giovane, vittima del sacrificio rituale, è rannicchiato, gli avevano legato le gambe: non sarà stato semplice convincerlo a sacralizzare con la propria vita il sacello di una famiglia di ricconi. Questi reperti, in tutto 330 tombe alcune già “scavate” e inscatolate, altre ancora da lavorare, se ne stanno in un segretissimo magazzini che il Comune ha in affitto per custodire l’archeologia che emerge dal sottosuolo padovano. Va da sé, pochissimi sanno dove si trovano i depositi e così deve essere: il rischio furti incombe.

Una storia antica da restituire alla città
L'assessore Andrea Colasio


E’ un normalissimo magazzino, quello che contiene una parte delle tombe della necropoli di via Tiepolo (alcune sono esposte ai Musei civici), tappezzato di scaffalature con scatoloni ognuno dei quali racchiude due o tre singole tombe ma anche anfore, resti, orpelli vari. Tutti tesori già “scavati”.

E poi ci sono tombe ancora grezze, così come furono asportate da via Tiepolo 15 anni fa (da una ditta specializzata): enormi zolle di terra, lunghe due o tre metri, in mezzo alle quali si trovano i reperti, dagli ossuari ai corredi in ceramica alle fibule e via. Reperti che mani esperte di archeologi lavorando con specillo e spazzole, un po’ alla volta tirano fuori. Quando possono e riescono a reperire qualche finanziamento. Lo hanno appena fatto, per tre settimane, otto studenti e ricercatori di Venezia e Bologna, diretti da Giovanna Gambacurta, docente di Etruscologia e Archeologia italica a Ca’ Foscari, la quale ha ottenuto una concessione di scavo come università di Venezia dal ministero, grazie alla Sovrintendenza, nella persona di Elena Pettenò.

A fare da consulente, Mariangela Ruta, archeologa, già della Sovrintendenza: due super esperte non a caso assieme. Erano sempre loro a dirigere i lavori nel cantiere in zona Tiepolo quando fu rinvenuta la necropoli: le Indiana Jones dei Paleoveneti. «Stiamo cercando di ricominciare, anche con poco; a smuovere le acque, tentare di mettere in piedi un progetto più sostanzioso» spiega Giovanna Gambacurta; «In questo lavoro c’è un forte senso etico: tutti questi reperti sono un bene da non lasciare al degrado, ma da restituire alla collettività. Ci vogliono fondi e interesse, del Comune ma non solo. Nell’ambito di Padova esistono situazioni recettive per questo materiale. Senza contare quello che ancora c’è da scavare».

«Noi, ogni passo che facciamo cerchiamo di renderlo noto» continua Gambacurta «è fondamentale il ritorno di quanto si trova e si studia alla collettività, l’interfaccia con il pubblico». Insomma, un appello a dare ossigeno, interesse, fondi e attenzione alla preziosa archeologia padovana che, tolto quanto esposto nel bellissimo Museo Eremitani, giace ancora dimenticata. E’ il penultimo giorno di lavoro per il gruppo di archeologi nel deposito-laboratorio, i soldi stanziati dall’università di Venezia sono finiti e si richiude tutto in attesa che la dea Reitia, giusto per restare in tema di Veneti antichi, interceda. E’ il penultimo giorno e ci sono ancora due scavi da finire: sono in tre armati di specilli (attrezzini tipo bisturi non affilati, lo strumento base dell’archeologo) a liberare con precisione millimetrica un ossuario dalla corazza di terra. E dopo ore, arriva l’allegro sussulto del rinvenimento: tutti corrono a vedere con un entusiasmo che manco per la scoperta delle piramidi Azteche di Teotihuacan. Specillo, spazzolette, olio di gomito, ed è saltato fuori un vaso biconico con relativi resti. Spiaccicato sotto il peso dei secoli, come tutte le anfore, olle, tubuli che poi vengono ricomposti pezzo dopo pezzo.

Ma, sorpresa, il corpo non è liscio bensì costolato, una decorazione insomma. L’euforia è generale e contagiosa. Prossimo passo sarà il restauro, se ne occuperà Federica Santinon della Sovrintendenza.

Sempre che Reitia ottenga qualche risposta.
 

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