Venturato: «Io e Cremona? Lì ho famiglia. Dunque...»

Il tecnico del Cittadella vivrà una domenica speciale da “ex” contro i grigiorossi «Ero il vice di Mondonico quando i granata vinsero la finale playoff 2008 per la B»
Di Diego Zilio
EDEL - FOTO PIRAN - CITTADELLA - CITTADELLA - FERALPI SALO' VENTURATO
EDEL - FOTO PIRAN - CITTADELLA - CITTADELLA - FERALPI SALO' VENTURATO

CITTADELLA. Se le chiediamo cosa le viene in mente quando diciamo “turòon, Turàs, tetàs”, la ritiene una domanda troppo “da caserma”?

Roberto Venturato sorride. Cremona, con le sue tre “T”, non è una città qualsiasi per lui, nato ad Atherton, in Australia, cresciuto a Trevignano, dove ancora fa base - nella casa dei genitori - quando lavora a Cittadella, ma adottato dal capoluogo lombardo. Lì vive la sua famiglia. Lì torna quando stacca dal calcio. E lì ha vissuto anni importanti della sua carriera, da giocatore prima e da allenatore poi.

Naturale che Cremonese-Cittadella, in cartellone domenica pomeriggio allo stadio Zini, non sia una partita uguale alle altre per l’attuale nocchiere granata. «Mia moglie Rosanna è di Cremona e lì abito dal ’94, assieme a lei e ai figli Gilberto, 20 anni, e Giovanni, 16. È una città tranquilla, forse anche troppo, ma in cui si vive bene. È molto legata alle tradizioni, ed è al centro di un territorio ancora rurale, in cui però alcuni importanti gruppi industriali come l’Acciaieria Arvedi, la Sperlari, con i suoi torroni, e il salumificio Negroni sono punti di riferimento. E, per completare il riferimento alle “T”, credo che la piazza del Torrazzo, il campanile storico più alto d’Italia, sia una delle più belle del Paese».

Assieme al Pizzighettone, piccola realtà che ha condotto al doppio salto dalla Serie D alla C/1, proprio alla Cremonese sono legate anche le sue esperienze più importanti nel mondo del calcio.

«Sì, ci ho giocato quand’ero un ragazzino e l’ho allenata, iniziando da vice di Mondonico e proseguendo da primo tecnico, fino al giugno 2010. È un ambiente a cui ho dato e da cui ho ricevuto molto. È mancata solo la ciliegina sulla torta della promozione in Serie B».

Nel 2008, quand’era secondo del “Mondo”, proprio il Cittadella si mise sulla vostra strada. Che ricordo ha di quella doppia sfida nella finale dei playoff?

«Vincemmo 1-0 al Tombolato con un gol di Temellin, poi fummo sconfitti 1-3 allo Zini con le reti di Meggiorini, Coralli e De Gasperi. Di quel Citta mi impressionò la ferocia con cui ribaltò il k.o. dell’andata. Avrei preferito vincere, ovviamente, ma so riconoscere il valore dell’avversario e credo che in quell’occasione abbia meritato la promozione».

Che idea si era fatto dell’ambiente di Cittadella, all’epoca?

«In campo le partite con i granata sono sempre state battaglie, sia quando li affrontavo al Pizzighettone che alla guida dei grigiorossi. Questa società ha sempre presentato squadre in grado di offrire un calcio propositivo e ha lanciato tanti calciatori validi. In precedenza avevo “rischiato” di giocarci: Angelo Gabrielli voleva portarmi qui, ma poi alla fine mi accordai con il Venezia».

L’ha conosciuto bene?

«Non abbastanza. Ma l’impressione che ebbi fu quella di una persona di spessore, che aveva idee importanti per far crescere la sua società».

Torniamo alla Cremonese: la sua avventura si chiuse con la seconda finale playoff, persa nel 2010, da primo allenatore, contro il Varese.

«Venivamo da una stagione al vertice, all’andata c’imponemmo 1-0 sfiorando il raddoppio e al ritorno fummo condannati dagli episodi, fra cui un rigore dubbio. Dentro mi ha lasciato molta amarezza e una grande voglia di riscatto. Posso dire questo, però: nel calcio ho avuto la fortuna di togliermi soddisfazioni importanti, ma forse la più grande lezione che ti sa dare è che le sconfitte vanno accettate. Fanno parte della vita».

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